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Due lettere sul commercio cabalistico col mondo elementare

Da La chiave del Gabinetto del cavagliere G. F. Borri Colonia (Ginevra) 1681

Transcribed by Massimo Marra
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Due lettere sul commercio cabalistico col mondo elementare
Da La chiave del Gabinetto del cavagliere G. F. Borri Colonia (Ginevra) 1681

Ill.mo ed Ecc.mo Signor, Sig. r Padron Col.mo. V. E. mi ha mostrato tanto piacere, mentre ero in Roma, quando mi faceva la grazia di darmi qualch’ora di trattenerla di cose curiose, che ho stimato che non trovarebbe disdicevole che la trattenessi ancora lontano. Massime che quanto ho da dirle è sì curioso, che al contrario son certo che gradirà questo segno del mio osseguio.

Avendo io sempre sospettato (come sovente ho pigliato l’ardire di dire a V.E.) che tutte le scienze segrete erano piene di vanità, non sono mai stato tentato di perdere il tempo a leggere i libri che ne parlano ; ma altresì non trovando ragionevole di condannare, senza sapere il perché tutti quegli che vi si danno in preda, che sono persone sapienti, savie e di qualche serie, mi son posto (per evitare d’esser ingiusto, e per non affaticarsi ad una tediosa lettura) à fignere che mi ero imbarcato in queste scienze con tutti quegli, che ho potuto sapere, che vi erano immersi.

Ebbi subito un successo maggiore che non isperavo. Come questi Signori, per misteriosi e riserbati che procurino di parere, non domandano altro che di enumerare le loro imaginazioni e le scoperte nuove, che pretendono aver fatto nella natura, fui subito e in poche settimane il pù confidente dé più riguardevoli tra quegli, che trovavo nelle mie erranze, alle quali sono costretto, come V. E. sa per le persecuzioni dell’Inquisizione.

Quando fui in Amstelodamo e avevo sempre alcuno nel mio Gabinetto, che avevo empito à posta dé loro Autori più ghiribizzosi e fantastici : non passava alcuno straniero sapiente che non ne fossi avvertito : in una parola mi trovai ben tosto un grand’uomo, fuorché la scienza segreta mancava. Avevo per compagni Prencipi e Gran Cavaglieri, Dame bellissime e delle brutte ancora : Dottori, prelati. Frati, Monache, in fine persone d’ogni serie. Alcuni inclinavano à Diavoli, gli altri agli Angeli ; alcuni al genio, altri agl’Incubi ; alcuni a guarire d’ogni male, gli altri alle stelle ; alcuni a segreti della Divinità, e quasi tutti alla Pietra Filosofale.

Rimanevano tutti d’accordo che questi gran segreti, e sovra tutto la Pietra Filosofale, erano malagevoli a cercare, e che pochi erano quegli che li sapevano ; ma ciascuno in particolare era in buon concetto appo se stesso per credersi del numero degli Eletti. Per mia buona fortuna i più riguardevoli aspettavano all’ora con impazienza l’arrivo d’un danese gran Signore e gran gabalista. Aveva egli promesso ai figli della filosofia, ch’erano in Amstelodamo, di venire a visitarli nell’andare in Inghilterra. Io ebbi la commissione di far risposta alla lettera di questo Grand’Uomo, e gli mandai la figura della mia natività, affinché giudicasse se potevo aspirare alla somma sapienza. La mia figura e la mia lettera ebbero fortuna bastevole per portarlo a rispondermi che sarei il primo ch’egli visitarebbe in Amstelodamo, e che se il cielo non vi si opponeva, non terrebbe ad esso che non entrassi nella società de’ savi. Per conservarmi questa fortuna tratenni commercio con quest’Illustre Danese. Gli proponevo di tempo in tempo alcuni dubbj, scifrati quanto potevo sull’armonia del Mondo, sulli numeri di Pitagora, sulle visioni di S. Giovanni, e sul primo capitolo della Genesi.

La grandezza della materia lo rapiva in estasi, e mi scriveva cose inudite, e viddi bene che avevo a che fare con un uomo d’un imaginazione vigorosa e vastissima. Ho più di sessanta lettere d’uno stile sì straordinario che non potevo risolvermi à legger altro, quando ero solo. Mi arrivarono alcune cose in Amstelodamo, e mi ritirai a Coppenaga, sperando di trovarlo quivi, ma per mia disgrazie era partito per la Francia, e mi trovai deluso nella mia speranza. Pascevo stà la mia curiosità col leggere le sue lettere, quando un giorno, che ne leggevo ed ammiravo una, viddi entrare un bell’uomo, il quale salutandomi con gravità mi disse in Italiano ed in accento straniero : Adori V. S., adori il Grand’Iddio de’ Savj, e non s’inorgoglischi mai se manda a V. S. uno dei figlj della sapienza per associarla nella loro Compagnia, e per farla partecipe delle maraviglie della sua onnipotenza.

Un simil nuovo saluto mi recò stupore, e cominciai a dubitare per la prima fiata, se si ha alle volte qualche apparizione : Pure facendo animo e guardandolo il più civilmente, che la paura mi permetteva - Chiunque V. S. sii (gli dissi) il cui compimento non è di questo mondo, mi fa molto onore di visitarmi : ma permetti, pria di adorare il Dio de’ savj, ch’io sappia di quai Savj e di qual Dio V. S. parla, e se gradisce, seda colà e mi favorisca di dirmi chi è questo Dio, questi Savj, questa Compagnia, queste maraviglie d’onnipotenza, e pria, e doppo à qual sorte di creatura ho l’onore di parlare.

-V. S. mi riceve saviamente (ripigliò egli ridendo e pigliando la sede) V. S. mi dimanda queste cose, che però non gli voglio dire oggi. Il compimento fattogli è un ristretto delle parole che i Savj dicono nell’accostare quegli à quali ànno risoluto di aprire il cuore, e scuoprire i Misteri. Hò stimato che séndo essa così sapiente come mi parsa nelle sue lettere, questo saluto gli sarebbe noto, e che fosse il più grato compimento che gli potesse fare il di lei amico il Danese.-

- Ah Signore ! (esclamai) come potrò rendermi degno di tanti favori. E’ egli possibile che il maggiore di tutti gli uomini sia nel mio Gabinetto, e che il Gran Danese mi visiti e mi faccia tal onore ?-

- Sono il minimo de’ Savj (replicò egli con gravità) e non hò che una parte di quanto ammiro ne’ miei compagni. Spero che V. S. li eguaglierà qualche giorno, se ne devo giudicare dalla sua figura di natività che mi ha mandato. Ma se vuol bene V. S. che mi duolga (aggiunse ridendo) perché V. S. a prima vista m’ha pigliato per un Fantasima ?-

- Ah, non già per un fantasima (gli dissi) ma gli confesso Signore, che ricordandomi di quanto riferisce Cardano, che suo padre fu visitato un Giorno nel suo museo da sette uomini incogniti, vestiti di varj colori che gli tennero varj discorsi bizarri della loro natura, e del loro impiego.-

- Intendo V. S. (ripigliò egli) erano Silfi, di cui io parlerò che sono una sorte di sostanze aeree, che vengono alle fiate consultare i Savj sulli libri d’Averroe, che non intendono troppo. Cardano è un pazzarello d’aver pubblicato questo nelle sue sottigliezze. Egli aveva trovato queste memorie ne’ papelli di suo Padre, che era uno de’ Nostri, e che vedendo che suo figlio era naturalmente un ciarlone, non gli volse insegnare niente di rilievo e gli lasciò perdere il tempo all’Astrologia Ordinaria per la quale non seppe prevedere ned anche che suo figlio sarebbe giustiziato. Costui è causa che V. S. m’ha fatto l’ingiuria di pigliarmi per un Silfo.-

- Ingiuria (replicai) come sarei assai sfortunato per.....-

- -Non importa, non vado in colera (interruppe egli) V. S. non è tenuto a sapere che tutti questi popoli Elementarj sono nostri discepoli che sono contenti, quando ci vogliamo abbassare ad istruirli, e che il minimo de’ nostri Savj è più sapiente e più potente di tutti loro. Ma parleremo un’altra fiata di questo.-

- Di grazia, signore, V. S. dice male di Cardano. Abbia riguardo almeno che era mio compatriota, e che là i suoi descendenti, che sono oggidì viventi a Milano che sono galantuomini e persone onorate.-

- Basta, basta (interruppe egli ridendo). Lasciamo Cardano, e mi basta d’aver avuto oggi il contento di vederla.

Procuri fra tanto di rendersi degno di ricevere la notizia de’ Misteri gabalistici. L’ora della regenerazione è arrivata non terrà che a V. S. d’essere una nuova creatura.-

Si levò poi, ed abbracciandomi, senza darmi luogo di rispondere - Addio (mi disse) hò à fare un poco, doppo che gli darò mie nuove. Vegghi, fra tanto, prieghi, speri e Taccia.-

Uscì in questo mentre, e mi duolsi della brevità della visita, ma mi disse che non perderei nell’aspettare, e se ne andò, lasciandomi in un grande stupore. E viddi bene che il Demonio che lo agitava era un gran Predicatore, e molto morale.

Mi venne a trovare il giorno seguente, e m’indusse ad andare a spasso ad un luogo di diporto fuori di Coppenaga, appartenente al Rè. Per istrada osservavo con esatezza questo uomo : e non ho mai visto persona alcuna si piena di sodisfazione, e contento interno, come mi pareva in tutte le sue azioni. Aveva l’animo più tranquillo e più sciolto che non mi pareva che dovesse avere uno stregone. Il suo aspetto non era d’un uomo che la sinderesi stimolasse, né potesse pugnere con qualche mancamento, e stavo con grand’impazienza di vederlo ingolfare nella materia desiata, non potendo concepire come una persona che sembrava tanto giudiciosa, e perfetta in ogn’altra cosa, si fosse corrotto il cervello colle visioni chimeriche e pazze, come avevo conosciuto essere il giorno innanzi.

Mi parlò benissimo di politica, e godé d’udire che avevo letto quanto ne aveva scritto Platone, tanto più che mi disse che ne avrei d’uopo qualche giorno. Mi trattenne molto sull’Alchimia, e con sodezza di discorso, forsi per maggiormente allettarmi, sapendo la mia inclinazione totale a questa scienza.

Arrivassimo al luogo, ed egli sdegnò di mirarne le bellezze, cominciando ad abracciarmi e levare le mani in alto dicendomi che non poteva assai rallegrarsi per essere ispirato di non celarmi niente, e che sarei al sommo della felicità, se potevo avere le disposizioni che tali cose chiedevano.

- V. S. và (mi disse) ad imparare a comandare alla natura tutta ; il Sommo facitore solo sarà suo Padrone, ed i Savi saranno suoi uguali e pari. Le supreme intelligenze si glorificheranno d’ubbidirla ; i Demoni non oseranno essere presenti al suo aspetto ; la di lei voce li farà aggriccire nelle cloache abissali, e tutti i popoli invisibili elementari si recheranno à fortuna d’essere li ministri de’ di lei piaceri. Oh di quanta gloria è coronato l’uomo, già che è stabilito Monarca Sovrano ed assoluto di tutte le opere fatte dal Sommo Facitore ! sente V. S. (aggiunse egli) questa ambizione eroica, che è il carattere sicuro de’ Savj ? Osa V. S. desiare di non servire, che al solo Protomonarca de’ Cieli ? Ha capito V.S. che cosa voglia dire esser’ Uomo, e non s’infastidisce ella d’esser schiava, già che è nata per essere un Sovrano ? E se conosce di nodrire tali nobili pensieri, consideri maturamente se avrà l’animo di rinunciare à quanto puol essergli d’ostacolo per pervenire all’innalzamento a che ella è nata ?-

Stava egli aspettando la mia risposta. E come avevo sperato d’udirlo parlare della materia cominciai quasi a disperare d’udirlo seguire. La parola di rinunciare m’agghechì, e non dubitai che non mi andasse a proporre di rinunciare al battesimo ed al Paradiso, si che perplesso gli dissi. :

- Come dunque bisogna rinunciare à qualche cosa ?-

- Si certo, mi rispose, ciò è talmente necessario che bisogna da questo cominciare. Non so se S. V. vi si potrà risolvere, ma sia certa che la saviezza non abita in un corpo peccaminoso, si come non entra in un’anima preoccupata d’errore o malizia. I Savj non l’ammetteranno mai al loro consorzio, se non rinuncia adesso ad una cosa che è loro incompatibile. E’ d’uopo (aggiunse egli col chinarmisi all’orecchio) è d’uopo rinunciare ad ogni commercio carnale colle donne-.

Jo scoppiai di riso a tal proposizione, e gli dissi che m’astringeva a poca cosa ; che aspettavo che volesse esiggere qualch’altra rinuncia, ma poiché non ne voleva che alle femine , la cosa è fatta, è un pezzo. Io sono assai casto. Fra tanto come Salomone era il più Savio del mondo, e però si lasciò corrompere, gli chiesi di dirmi come faceva egli ed i suoi compagni ad esentarsi di quelle, e che inconveniente vi era che nel Paradiso de’ Filosofi ogni Adamo avesse la sua Eva .

- Sono cose riglievanti (mi replicò egli) a spiegare, ma già che la vedo disposta a tal rinuncia le dirò una ragione che hà costretto i Savj à esiggere questa da’ loro discepoli, quinci da ciò conoscerà in qual ignoranza vivon gli altri.

Quando V. S. sarà nel numero de’ Filosofi, e che li di lei occhi saranno fortificati scoprirà essere gli Elementi popolati da creature assai perfette, la cui cognizione è stata levata all’uomo, forsi per il peccato primiero del mondo. Questo spazio immenso trà il Cielo e la Terra hà abbitanti più nobili che gli uccelli e le mosche ; i Mari ànno bene altri ospiti che Delphini e Balene ; la Terra non è solo per le talpe ; e il fuoco più nobile degli altri non eè stato fatto per rimaner vuoto. L’aere è pieno d’un numero grande di popoli di figura umana, d’aspetto apparente fieri, mà realmente docili ; amanti le scienze penetranti, Ufficiosi à Savj, e nemici degl’ignoranti. Le loro femine ànno una bellezza simile a quella, con che si pignono le Amazzoni.-

Restai attonito dell’ardire di quest’Oltramontano di credere di poter persuadere simili pazzie ad un’Italiano, la cui nazione passa per perspicace, e non potei rattenermi di dirgli se mi teneva per un Idiota di volermi far credere che quei spiriti rubelli fossero maritati ed avesero figliuoli. Mà egli mi rispose di non irarmi, che tali cose le vedrei cò miei propri occhi, e che frà tanto dovevo obliare quanto avevo udito in tal maniera nelle scuole degl’Ignoranti, altrimente che mi spiacerebbe poi, doppo esser còvinto dalla sperienza, d’esser sforzato di confessare che m’ero ostinato fuori di proposito. E che dovevo udire tutto, e sapere che i mari ed i fiumi erano abitati come l’aere,e che quei abitanti erano stati chiamati dagli Antichi Savj Ondini o Ninfe. Che pochi erano i maschi, ma molte le femine che erano di gran bellezza.

Che la terra era piena quasi fino al centro di Gnomi di statura piccola, custodi de’ Tesori, miniere e pietre preziose, ingegnosi amici dell’Uomo, e facili ad eseguire quanto si comandava loro. Che questi somministravano tutto il il danaro necessario à Savj, non ambendo altra ricompensa che la gloria d’essere commandati. Le Gnomidi loro mogli erano piccole, mà graziose e con un abito curioso.

Non sarebbero della mia amicizia gli Ondini (risposi ridendo) perché temo troppo l’acqua. Ma se vi fossero gli Gnomi sarebbero bene i miei diletti, se mi volessero dare tesori ; perché così avrei tralasciato d’affaticarmi tanto in traccia della Pietra Filosofale, com’egli poteva sapere che facevo a gran spesa del Rè, che quasi s’annoiava della lunghezza del lavoro. -E bene, mi rispose, li vedrà quanto prima, e sarà lei a disporne.-

-Quanto alli Salamandri (continuò) abitanti infiammati della ragione del fuoco, servono à Filosofi, ma non cercano con ardore, benché ardenti la loro compagnia, e le loro femine si lasciano vedere di rado.-

- Elle no ànno ragione (interruppi) e non mi curo delle loro apparizioni.

- Perché ? (disse egli)-

- Perché (ripigliai) che non avevo a fare di conversare con una bestia sì brutta come la Salamandra, per maschio o femina che fosse. -

- V. S. hà torto (replicò egli) questa è l’idea che ne ànno li pittori e scultori ignoranti. Le femine degli Salamandri sono belle, e più belle di tutte le altre, perché sono d’un elemento più puro e nobile. E non ne parlo perché V. S. le vedrà a suo piacere, come altresì li loro abiti, viveri costumi e le loro leggi mirabili. V. S. sarà affaturato dalla loro beltà, dell’ingegno loro più anche che dal corpo, ma non potrà non commiserarle quando udirà che le loro anime sono mortali, e che non ànno punto di speranza nel godimento eterno dell’essere supremo, che conoscono ed adorano religiosamente. Eglino gli diranno che sendo composti di parti purissime di quell’abitato elemento, e non avendo qualità contrarie, per esser fatti che d’un elemento solo, non muorono che dopo varj secoli. Ma che cosa è il tempo a rispetto dell’eternità ! Sarà d’uopo rientrare per un’eternità nel niente. Tal pensiero li affligge, ed ànno grande stento li Savj a’ consolarli. I nostri Primi filosofi commiserando lo stato di queste creature elementari, chiesero da che poteva darne cognizione, rimedio a tal male, e fù ispirato loro che li Silfi, li Gnomi, li Ondini e li Salamandri potevano coll’alleanza che potevano contrarre coll’Uomo, essere fatti partecipanti dell’immortalità. Così una Ninfa o una Silfide diviene immortale quando può maritarsi un Savio, ed uno Gnomo od un Silfo cessa d’esser mortale quando sposa una femina delle nostre. Da ciò nacque l’errore de’ primi secoli di Tertulliano, di Giustino Martire, di Lattanzio, di Cipriano, di Clemente Alessandrino, d’Atenagora Filsofo Cristiano, e di tutti gli altri Scrittori di quel tempo. Eglino avevano saputo che tali mezi uomini elementarj avevano cercato la compagnia delle femine : ed ànno tratto da ciò che la caduta degli Angeli non era provenuta che dall’amore al quale si erano dati in preda per le donne. Alcuni Gnomi desiosi d’immortalizzarsi, avevano voluto guadagnarsi le buone grazie delle figlie degli uomini, ed avevano loro portato alcune pietre preziose, di cui eglino, come hò detto, sono custodi : e questi Autori ànno stimato, fondandosi sul libro d’Enoc, inteso male, che era il laccio teso deli Angeli Amorosi alla castità delle nostre femine. Nel principio fattesi questi amare dalle figlie degli uomini generarono i famosi Giganti, e li Cabalisti ignoranti, Gioseppe e Filone (come sono tutti gli ebrei ignoranti) e doppo essi i nominati Autori ànno detto, come altresì Origene e Macrobio, che erano Angeli, e non ànno saputo che erano i Popoli Elementarj che sotto il nome di figli di Eloim sono distinti da’ figli degli uomini. Così quando il Prudente Agostino hà avuto la modestia di non decidere circa le sollicitazioni che quegli che si chiamavano Fauni , ò Satiri, facevano alle Africane à suo tempo, è spiegato da quanto si è detto del desio di quelle creature di allearsi cogli uomini per immortalizzarsi. I nostri Savj non imputeranno mai all’amor delle donne la caduta degli Angeli, né sopporranno mai gli uomini al potere de’ Demonj, per attribuir loro tutte le venture dell Ninfe e de’ Silfi che riempono la storia. Non vi fù mai alcun male in ciò. Erano Silfi che procuravano d’immortalarsi. Le loro sollicitazioni, invece di scandalizzarci, si sono parse sì giuste che perciò d’un consenso comune abbiamo risoluto di rinunciare totalmente alle donne, e di darci ad immortalare le Ninfe e le Silfidi.

- Oh che odo ! (esclamai) e fin dove va la f......

- Sì (m’interruppe) ammiri V. S. fin dove và la felicità Filosofica ! Per femine di beltà labile posseggono i Savj bellezze inalterabili, e che ànno la gloria d’immortalare. Giudichi di grazia del’amore e della ricognizione di queste amanti invisibili, e con qual’ardore cercano à piacere al caritatevole Filosofo che si applica ad immortalarle.-

- Ah, rinuncio (esclamai ancora una fiata).-

- Sì (seguì egli senza darmi tempo di parlare) rinunci V. S a’ piaceri inutili ed insipidi delle donne. La più bella tra esse è deforme à rispetto della minima Silfide : tra questi abbracciamenti non vi è mai nausea. Oh miseri quelli che non ponno godere queste voluttà Filosofiche !-

- Oh misera lei (interruppi d’una voce framista di colera e di compassione) mi lasci dire fin dove va la follia Filosofale, e che rinuncio a questa saviezza insensibile, che trovo ridicola questa filsofia chimerica. Che detesto tai abracciamenti abominevoli che vi uniscono a fantasime, e che tremo per lei che qualcuna delle chimeriche Silfidi non si acceleri a portarla nell’Inferno nel più caldo de’ suoi trasporti, temendo in fine che V. S. non si accorga della demenza di questo zelo chimerico, e non faccia penitenza d’un fallo così grande e così enorme.-

- Oh oh (rispose egli rinculando alcuni passi e guardandomi d’un occhio bieco) misera lei spirito indocile.-

Quest’azione mi paventò, lo confesso : ma fu peggio quando viddi che, allontanandosi trasse dalla saccoccia una carta, che vedevo da lungi, piena di caratteri che non potevo discernere.

Leggeva egli con attenzione, si metteva in collera e parlava tra sé. Stimai che invocasse qualche spirito per ruinarmi, e mi pentii quasi un poco del mio zelo indiscreto. Se evito questa (dicevo tra me) mai più Cabalista alcuno mi parlerà. Tenevo gli occhi fissi in esso, come sovra un giudice che andava a condannarmi a morte, quando viddi rasserenarsi la sua faccia-

- Durum est tibi (mi disse ridendo ed accostandomisi) contra stimulum calcitrare. V. S. è destinata ad essere il primo Cabalista di questo secolo. Se non sarà per mio mezo, sarà quando piacerà al suo Saturno.-

Ah se devo divenire uno di questi pazzi Savj (gli dissi) non sarà che per su mezo, ma temo che sarà malagevole che mi possa attrarre all’amore filosofico.-

- Perché ? (mi replicò) sarebbe V. S. assai cattivo fisico per non sapere l’esistenza di questi popoli ?-

- Non so (risposi) ma mi sembra che sarebbero sempre diavoli travestiti.

- Come ? (soggiunse egli) Ne crederà V. S. più sempre alla sua nodrice che alla ragione naturale, che à Platone, à Pitagora, à Celso, à Psello, à Proclo, à Porfirio, à Giamblico, à Plotino, à Trismegisto, à Nollio, à Dorneo, à Fluddo, al gran Teofrasto Paracelso, e che à tutti li nostri colleghi ?

- Ne crederei (risposi) più anche a V. S. che à tutti li nominati, ma non potrebbe V. S. fare che non fossi tenuto di sfarmi in tenerezza con queste Signorette elementari .-

- Sì (replicò egli, ognuno è libero, e non si ama se non si vuole : pochi savi ànno potuto difendersi da tai bellezze. Ve ne sono però stati, che non non ànno potuto amare per serbarsi à cose maggiori.-

- Sarò dunque (ripigliai) di questo numero, Tanto più che non saprei risolvermi a perder il tempo alle cerimonie, che ho udito dire da un Prelato, che si devono praticare per il commercio di questi Genij. -

- Questo Prelato (disse egli) era un ignorante, perché questi non sono Genij, ed inoltre Savio alcuno non impiegò mai ceremonie, né superstizioni per la famigliarità de’ genij, non più che per questi popoli Elementari. I Savj non oprano che con i principj della natura : e se sovente si trovano ne’ nostri libri parole inusitate, caratteri e suffumiggi, ciò serve solo per celare agl’ignoranti i principj fisici. Ammiri V. S. la simplicità della natura in tutte le sue operazioni le più stupende! ed in tal simplicità un’armonia ed un concerto così grande e giusto, e sì necessario, che lo farà ridurre à suo malgrado, e lo ritrarrà dalle sue fievoli immaginazioni. Vorrei dirgli qui quanto insegnamo à nostri discepoli, à quelli cioè che non vogliamo lasciar’entrare totalmente nel ripostiglio più recondito della natura, e che non vogliamo però privare della società dei popoli Elementarj per la compassione che abbiamo di questi stessi popoli, voglio dire che vorrei dirgli il modo che si tiene per vedere questi popoli, e di trarli a sé, ma poiché la vedo cotanto ostinata, voglio prima procurare di rimuoverla da questa sua caparbia durezza, e poi in altro tempo gli spiegarò i modi segreti à questo effetto, e servirà ciò di lieve castigo alla sua ostinazione.

L’avversione che mi mostra per l’amore di queste creature mi fa ricordarle che potrebbe accomodarsi con le Salamandre, perché come sono più pure che le altre degli altri elementi, vivono lungo tempo, quinci non s’accelerano a chiedere à Savj l’immortalità e forsi non gliene parlerebbero mai. Il modo che diferiscono a dirgli è tutto chimico ; senza caratteri, senza cerimonie, senza parole ostruse si diviene padrone assoluto di que’ popoli ; ed egli non esigono alcun culto da’ Savj, perché sanno essere più nobili d’essi. E la venerabile natura ignea a’ suoi figli a riparare gli elementi cogli elementi. Colla sola chimica si ristabilisce l’armonia, e così l’uomo ricupera il suo impero naturale, e può tutto negli elementi, senza demonio e senz’arte illecita ; e da ciò V. S. vede, e vedrà da quanto gli dirò fra qualche tempo, che i Savj sono più innocenti di quello che si pensa. V. S. non mi dice niente ? -

- Ammiro (risposi) il suo discorso, e comincio à temere che non mi faccia divenire maggiore distillatore di quello che sono. Di già per questo hò incontrato tante disgrazie, e V. S. vede che anche adesso vi sono immerso fino alla gola. Quante spese non ho fatto fare à varie persone, alla Regina Cristina di Svezia in Amburgo, ed à questo Rè ? L’assicuro che temo cò suoi discorsi dell’avvenire.-

-Nò, nò (mi disse) . V. S. lascerà un giorno tutto questo ; e gli hò detto che i Savj non mostrano queste cose che à quegli che non vogliono annoverare totalmente tra essi. V. S. col tempo avrà questi vantaggi, ed altri ben più gloriosi, e grati con procediture ben’altrimento filosofiche. Non gli hò detto questo, che per mostrargli l’innocenza di questa filosofia e per levargli il terrore che mostrava. -

- Non ho più tanta paura che ne avevo testè (risposi), E benché non mi determini ancora ad accomodarmi con le Salamandre, come mi ha proposto, non lascio però d’avere la curiosità di sapere come hà scuoperto che que’ popoli morivano. -

- Eglino ce lo dicono (ripigliò egli) e li vediamo morire.-

- Come dunque (replicai) li può vedere morire, già che il comercio de’ Savj l’immortala ?-

- Ciò sarebbe buono (disse egli) se il numero de’ Savj uguagliasse il loro : oltre che vi sono molti d’ essi che amano più tosto di morire che d’arrischiare coll’immortalità d’essere infelici, come vedono che sono i demonj. Il Diavolo ispira loro tale sentimento, e fa tutto per impedire queste povere creature di divenir’ immortali col nostro comercio. Si che tengo, e V. S. deve tenere per una tentazione perniziosa e come un muoto fuori d’ogni carità, l’avversione che V. S. hà. Del resto per quanto concerne questa, chi è che costrinse l’Oracolo di Apollo di dire, che tutti quegli che parlavano negli oracoli erano come desso mortali, come riferisce Porfirio ? E che pensa lei che vogli dire quella voce intesa nelle spiagge della di lei Italia, che paventò que’ che solcavano il mare ? Il GRAN PAN E’ MORTO. Erano i popoli Aerei che avvertivano gli Ondini che il primo ed il più vecchio dei Silfi era morto.

- Quando questa voce fù udita (gli dissi) mi sembra che il mondo adorava Pan e le Ninfe. Questi dunque erano i Dij falsi de’ Pagani ? E vuol poi ch’io abbia comercio con essi ?

- Egli è vero (ripigliò) i Savi non diranno mai che il diavolo abbia mai avuto il potere di farsi adorare. E’ troppo sfortunato e fievole per aver avuto questo piacere e questa autorità. Ma hà potuto persuadere a questi Elementari di mostrarsi agli uomini e di farsi ergere tempj ; e per il dominio naturale, che ciascuno ha sull’elemento che abita, intorbidavano l’aere ed il mare, vacillavano la terra e davano il fuoco dal Cielo à loro piacere ; si che non avevano stento ad esser pigliati per Divinità, finche il Sommo Essere non volle trarre dal buio le Nazioni. Mà il Diavolo non hà ottenuto dalla sua malizia quanto sperava ; posciache da ciò è successo che Pan e tutti gli Elementari, avendo trovato modo di mutar questo culto in comercio d’amore (sendo che, se V. S. si ricorda appo gli Antichi Pan era il Re di quei Dij che nominavano Incubi, e che sollecitavano molto le femine) molti si sono sottratti al Diavolo, e non abbruceranno nell’Inferno, almeno secondo alcuni, che non so se devo nominar dementi e pazzi. -

- Non intendo questo (ripigliai).-

- V. S. non intende certo ( continuò egli) ridendo e burlando. Questo supera tutti quegli, che non intendono questa fisica. Sappia che si come gli Elementari acquistano immortalità coll’alleanza cò gli uomini predestinati, così gli uomini che non hanno parte alla gloria eterna, questi miseri, a’ quali l’immortalità non è che un vantaggio funesto, per i quali il Messia non è stato mandato.

- Voi siete dunque Giansenisti, signori Cabalisti ? (interruppi).

- Non sappiamo queste opinioni (replicò egli agramente). Questi sfortunati, à quali la triste immortalità non sarebbe che una disgrazia eterna, ànno ancora il rimedio, come alcuni credono di poter divenir mortali alleandosi coi popoli Elementarj. Se ciò è i Savj non arrischiano niente per l’eternità. Se sono predestinati ànno il piacere di condurre al Cielo nel lasciare la prigione di questo corpo, la Silfide o Ninfa che hanno immortalata, e se non sono predestinati, il comercio con la Silfide mortalizza l’anima loro e lo libera dall’orrore della seconda morte. Così si esentano dal pericolo d’essere dannati.

- Senza dubbio (Esclamai non osando irarlo per farlo seguire a scoprire i suoi chimerici segreti della Gabala, che stimai bizarri, e ricreativi dal poco che aveva detto) V. S. dà una perfezione troppo indiscreta alla sua Filosofia. Sono Cristiano, Signore, e giammai mi lasciarò metter’in capo cose simili che repugnano alla ragione ed alla Scrittura Sagra, la quale è necessario seguire per salvarsi.

- V. S. vede (mi disse) che gli ho detto che è opinione solamente d’alcuni. Ma se questa è vera, supera l’intelligenza di tutti i di lei dottori.

- V. S. ha ragione (replicai) e credo che superi anche l’intelligenza de’ nostri Magistrati, e che se potessero scoprire chi sono quegli che fuggono dalle mani del Demonio con questo meza, pigliarebbero gl’interessi del Diavolo contro que’ fuggiaschi, e farebbero loro un cattivissimo partito.

- E’ perciò (ripigliò egli) che vi raccomando il segreto. I giudici sono stravaganti, condannano un’azione innocente come un delitto abominevole. Qual barbarie ! di aver fatto abbruciare quei due Preti che dice il Prencipe della Mirandola d’aver conosciuti, che avevano avuto ciascuno la sua Silfide lo spazio di quarant’anni ! Che inumanità d’aver fatto morire Giovanna Ervilliera, che si era apposta ad immortalare un Gnomo lo spazio di trenta sei anni ! e qual ignoranza a Bodino di trattarla da strega, e di pigliar motivo da ciò di autorizzare le chimere popolari circa le streghe. Mà vedo esser tardi, e che V. S. non hà magnato, perché per noi altri magnamo per piacere, e mai per necessità, come fanno i Savj del mondo che non magnano, che per necessità. Che pensa S. V. (continuò) che possino star’i Savj senza magnare ? -

- Non so (gli risposi). Moisé ed Elia stettero quaranta giorni, i savj, stimo, staranno qualche giorno di meno.

- Che bello sforzo sarebbe (ripigliò). Paracelso afferma aver veduto veri Savj che sono stati vent’anni senza magnare la minima cosa. Egli stesso, prima d’essere pervenuto alla Monarchia Filosofica, provò di vivere molti anni col pigliar solamente un mezo scrupolo di quintessenza solare. E’ non si hà che à separare la terra elementare, cioè depurata di grassizie, da ogn’altro elemento, porla sull’umbilico, e rinnovarla quando è troppo secca, e fa che non si cura l’uomo di magnare e bere senza stento veruno, come hà provato Paracelso per sei mesi. Sovraciò andassimo a pransare secondo l’uso degli Eroi Filosofici.-

Doppo pranso ritornassimo al luogo di conversazione. Avevo compassione della demenza di questo Signore, dalla quale vedevo che era malagevole di ritrarlo, e questo mi vietava di pigliare spasso di quanto m’aveva detto, almeno tanto quanto avrei fatto se avessi avuto speranza di ritrarlo. Cercavo nell’antichità qualche cosa per opporgli à che non potesse rispondere, perché di addurgli li sentimenti della chiesa stimavo che non gli piacerebbero per esser pazzo, e di voler convincere u cabalista colla ragione, ciò mi sembrava troppo arduo. Mi venne in questo mentre nel capo che aveva parlato de’ Dij falsi, a’ quali aveva sostituito gli Elementarj, e che ciò poteva essere refutato cogli Oracoli de’ Pagani, che la scrittura tratta con verità per tutto di Diavoli, e non di silfi. Mà come non sapevo se attribuirebbe gli Oracoli a qualche causa naturale, stimai necessario di fargli dire il suo pensiero sovra di ciò. Me ne diede motivo lodando certe statue che erano in quel luogo dov’eravamo.

- Sono state qua portate massime d’Italia (ripigliai) credendo che altre fiate avevano resi oracoli, quinci sono state comprate à gran contenti.-

- E’ un male comune (ripigliò egli) L’Ignoranza fa commettere ogni giorno una maniera d’Idolatria colpevole, col conservare con cura gl’idoli che si credono aver servito altre fiate al demonio per farsi adorare. Non si saprà mai nel mondo, che nel suo principio i nemici sono stati precipitati sotto lo sgabello de’ piedi, e che il demonio è tenuto incatenato sotto la terra nel buio tenebroso ! tal curiosità poco lodevole. Di ragunare così que’ creduti organi del Diavolo, potrebbe divenir innocente se si potesse persuadere che mai il demonio ha oracolizzato.

- Non istimo (interruppi) che fosse agevole d’asserirlo tra curiosi ; ma ben si forse tra i Sodi. Posciache è stato deciso poco fa in una Ragunanza fatta apposta per tal materia dà acutissimi ingegni, che tutti questi Oracoli non erano che una superchierie dell’avarizia de’ Preti Gentili, od un’artifizio della politica de’ Sovrani. -

- Erano forsi (mi disse) Maomettani quegli della ragugnanza, e che decisero questo ?-

- No (risposi)

- Di qual religione dunque erano (replicò) poiché non badano alla Scrittura Sagra, che parla in tanti luoghi di tanti varj Oracoli ? e particolarmente de’ Pitoni, che facevano la loro residenza e che rendevano le loro risposte nelle parti destinate alla moltiplicazione.-

- Parlai (replicai) di questi ventri parlatori, e feci notare che Saule li aveva banditi dal suo Regno, dove ne trovò però ancora uno la vigilia della sua morte, la cui voce ebbe l’ammirabil potere di resuscitar Samuele, à suo priego, ed alla sua rovina. Ma questi sapienti non lasciarono di decidere, che non vi furono mai Oracoli.-

- Se la Scrittura non faceva loro impressione (disse egli) bisognava convincerli coll’antichità, nella quale era agevole di far loro vedere mille bellissime pruove. Tante Vergini gravide del destino de’ mortali, che partorivano la buona o la cattiva fortuna di quegli che le consultavano. Perché non adduceva V.S. Crisostomo, Origene ed Ecumenio ? Che rammentano que’ indovini chiamati da Greci Engastrimandes , i cui ventri profetici articolavano Oracoli tanto famosi. E se non volevano la Scrittura e i Padri, bisognava addurre quelle zitelle miracolose menzionate da Pausania, che si mutavano i colombe, e rendevano li celebri Oracoli delle Colombe di Dodona ; ò quelle zitelle illustri della Francia, che si mutavano in ogni figura, al piacere de’ Consultanti, e che oltre gli Oracoli celebri che rendevano, avevano l’imperio sovra li fiotti, ed una autorità salutare sulle malattie più incurabili.-

- Oh (risposi) sarebbero state trattate queste cose di falsità.-

- Perché (ripigliò egli), l’Antichità forsi le faceva sospette ? Doveva allegar loro gli Oracoli che si rendono ancora ogni giorno.

- Ed in qual luogo del mondo (gli dissi)

- Per tutto (rispose) V. S. è maestro in Israele e non lo sa ? Non si consultano forse ogni giorno gli oracoli acquatici dentro bicchieri d’acque ò dentro bacini, e gli aerej negli specchi, cò crivelli e sulle mani delle Vergini ? Non si recuperano così gli orologi rubati e cose perdute ? Non si sanno così le nuove de’ paesi lontani ?-

- Ah, che mi dice V. S. (gli dissi)-

- Gli dico (ripigliò egli) quanto son sicuro che arriva ogni giorno. -

- Mi scusi Padrone (replicai) io non lo credo. I magistrati farebbero giustizia e darebbero qualche esempio d’un’azione tanto abominevole e non tolerarebbero che l’idolatria.......-

- Oh, come V. S. è pronto ! (interruppe) non vi è tanto male come pensa in questo, e la provvidenza non lascierà che si estirpi questo rimasuglio di filosofia che si è salvato dal miserando naufragio della povera verità. Se rimane ancora qualche vestigio del formidabile potere de’ nomi divini frà i popoli, perché scancellarlo ? e perder così il rispetto à quegli che operano soli tante meraviglie, anche invocato dagli ignoranti e peccatori, e che farebbero bene altri miracoli, e più stupendi in una bocca cabalistica. Se S.V. voleva convincerli della verità degli Oracoli non aveva che da esaltare la sua imaginazione, e la sua fede, e volgendosi verso l’Oriente gridare ad altra voce A. G........-

- Signore (interruppi) avrei ben badato di far un simile argomento à persone si onorate come quello colle quali ero ; m’avrebbero pigliato per pazzo, perche al certo non vi prestano fede, e quando anche avessero saputo l’operazione gabalistica, che V. S. dice, non sarebbe riuscita per mia bocca, perche io vi hò ancora minor fede d’essi.-

- Se V. S. non ne ha (disse egli) ce ne farò bene venire. Fratanto se avesse V. S. stimato che non avessero prestato fede a quanto si vede ogni giorno, dovea addur loro l’Oracolo che dice Celio Rodigino aver veduto egli stesso render nel fine del secolo passato da quell’uomo straordinario che prediceva il futuro collo stesso organo di Euricle di Plutarco -

- Non avrei voluto (risposi) citar Rodigino, perché sarebbe stata la citazione assai pedantesca, e non avrebbero mancato di dirmi che quest’uomo era un’ indemoniato.

- Si l’avrebbero detto, ma frateschissimamente (ripigliò egli)-

- Signore (interruppi) nonostante la di lei avversione cabalistica che vedo che ha per gli Ecclesiastici, non posso far di meno in tal’occasione di prendere il loro partito. Stimo che non vi sarebbe tanto male di dire che non vi sono mai stati Oracoli, quanto vi sarebbe nel dire che non era il demonio che parlava. Poichè in fine i Padri ed i Teologi......-

-Poichè infine (interruppe egli) i Teologi non concedono eglino che la sapiente Sambetea, la più antica delle Sibille era figlia di Noé ?

- Che importa ?(ripigliai)

- Plutarco (ripigliò egli) non dice egli che la più antica delle Sibille fù la prima, che rese gli oracoli a Delfo ? Questo spirito, che teneva Sambetea nel suo seno, non era dunque un Demonio, ned il suo Apollo era un Dio falso ; poiché l’idolatria non cominciò che un pezzo doppo la divisione de’ linguaggi, e sarebbe poco verisimile d’attribuire al padre delle menzogne i libri delle Sibille e tutte le pruove della vera Religione che ne ànno tratte i Padri : e poi non tocca a V. S. di rompere il matrimonio fatto da un cardinale di Autorità tra Davide e la Sibilla, né di accusare questo personaggio d’aver comparato un sì gran profeta ed un sfortunata Energumena. Posciaché o Davide fortifica la testimonianza della Sibilla, ò la Sibilla affievolisce l’autorità di Davide. In oltre il Demonio è mai egli stato diviso da se stesso ? ed egli alle fiate contrario à suoi proprj interessi ?

- Perché no ? (gli risposi)

- Perché no ? (disse egli) Perché quello che Tertulliano hà chiamato la ragione di Dio, non lo trova a proposito. Il Demonio non è mai diviso da se stesso. Ne siegue dunque ò che il demonio non hà mai parlato contro i suoi proprj interessi ; quinci se gli oracoli ànno parlato contro gl’interessi del demonio, non era il Demonio che parlava negli Oracoli.

- Ma Dio non hà egli potuto sforzar il Demonio (gli dissi) di dar luogo alla verità e di parlar contro se stesso ?

- Ma (replicò egli) se Dio non l’hà sforzato ?

- Ah ! in questo caso (ripigliai) V. S. avrà maggior ragione che li Ecclesiastici.

- Vediamolo dunque (seguì egli) e per procedere invincibilmente non voglio addurre gli Oracoli addotti da’ Padri perché com’eran uomini potevano ingannarsi, mà voglio addurre un’Uomo che non può essere sospetto in ciò : Pagano, e Pagano d’altra sorte che Lucrezio, Luciano ò gli Epicurei, un Pagano infatuato de’ suoi Dij e de’ demoni senza numero, superstizioso fuor di modo, Mago e per conseguenza gran partigiano del Diavolo, Porfirio io dico. Ecco alcuni oracoli ch’egli riferisce, eccoli, parola per parola.

Oracolo

" Vi è sovra il fuoco celeste una fiamma incorruttibile, sempre risplendente, scaturigine dell vita, fonte d’ogni essere e principio d’ogni cosa. Questa fiamma produce tutto, e non perisce che quanto questa consuma, si fa conoscere da se stessa e non puol’esser contenuta da alcun luogo.
Ella è senza corpo, senza materia, circonda i Cieli ed esce da essa una scintilluccia che fa tutto lo splendore del Sole, della Luna e delle Stelle. Ecco quanto so d’Iddio : non cerca à saperne di più, perché eccede la tua capacità per sapiente che tu sij. Del resto sappi che l’uomo ingiusto e cattivo no può celarsi da Dio. Né scaltrezza, né senza può coprire niente à suoi occhi penetranti. Tutto è pieno di Dio. Dio è per tutto."


- Questo Oracolo non mi pare procedente dal Demonio. Almeno (dissi) esce assai dal suo carattere.

- Eccone un altro (disse egli) che dice meglio.

Oracolo

" Vi è in Dio una profondità immensa di fiamma il cui calore tranquillo e quieto fa l’armonia e la durata del mondo. Cosa veruna non esiste che da questo fuoco, che è lo stesso di Dio. Non è stato generato da alcuno, è senza madre, sa tutto, e non gli ci puol’insegnar niente ; è invacillabile ne’ suoi disegni, ed il suo nome è ineffabile. Ecco cosa è Iddio, posciache per noi, che siamo suoi Messaggieri, non siamo che una particella di Dio."


- E bene che dice V. S. di questo ?

- Dirò di tutti due (replicai) che Dio può sforzar il Padre delle menzogne à dar luogo alla verità.

- Eccone un altro (ripigliò egli) che levarà questo scrupolo

Oracolo

"Ahi Trèpiedi ! Piagnete e fate l’Orazione funebre del vostro Apollo. Egli è mortale, si spegne perché la luce della fiamma celeste lo fa spegnere"


- V. S. vede bene che, chiunque sia che parla in questi Oracoli, che spiega cotanto bene a’ pagani l’essenza, l’Unità, l’immensità e l’Eternità di Dio, confessa che è mortale e che non è una scintilluccia di Dio. Non è dunque il demonio che parla, poiché è immortale, e che Dio non lo sforzarebbe a dirlo, che non lo è. E’ costante che il Demonio non si divide contro se stesso. E egli questo il modo di farsi adorare, di dire che non vi è che un Dio solo ? dice che è mortale, e da quando in qua il Demonio è sì umile di levarsi le sue qualità naturali ? V. S vede dunque, che, se il principio di quello che si chiama per eccellenza il Dio delle scienze sossiste, non pol’essere il Demonio che hà parlato negli Oracoli.

- Ma se non è il demonio (gli dissi) ò con mentire quando si dice mortale, ò dicendo la verità per forza quando parla di Dio, à chi attribuire dunque questi oracoli che V. S. sostiene esser veramente stati resi ? Forsi all’esalazione della Terra, come Aristotele, Cicerone e Plutarco ?

- Oh questo no (disse egli) non sono così pazzo.

- Come (replicai) tiene V. S. questa opinione per pazza ? i suoi partigiani sono però persone di giudizio.

- Non lo sono in questo (ripigliò egli) ed è impossibile di attribuire all’esalazione quanto si è fatto negli Oracoli. Per esempio, quell’uomo appo Tacito, che compariva in sogno à Sacerdoti d’un tempio d’ Ercole, nell’Armenia, e che comandava loro di tenergli pronti corsieri bardati per la caccia. Sin qui potrebb’ essere l’esalazione : ma quando i corsieri venivano alla sera stanchi, ed il carcasso vuoto di frecce, e che il giorno seguente si trovavano tante bestie morte ne’ boschi quante frecce nel carcasso, ciò non può derivare dall’esalazione. E non era il Diavolo, perché non si puòl’attribuire all’inimico di Dio senza pazzia, che gli sia permesso di pigliarsi tale spasso.

-A’ che dunque (gli dissi) attribuisce la Gabala tutto ciò ?

- Aspetti V. S. (replicò) e mi lasci levargli dal capo quest’esalazione, perché ha citato con tant’ Emfasi Aristotele, Cicerone e Plutarco che V. S. potrebbe ancora citare Giamblico, che, per dotto che fosse, stette in tal’errore qualche tempo, che lasciò però quando ebbe squitinata la cosa nel libro de’ misterj.

Pietro d’Aponio, Ponponaccio, Levinio, Sisenio e LucinioVanino ancor’eglino, ànno piacere d’aver trovato questo in alcuni antichi. Tutti questi dotti, quali, quando parlano delle cose divine dicono più tosto quanto bramano, che quanto conoscono, non ammettono cosa alcuna di sovra umano negli Oracoli, per riconoscere qualche cosa di superiore all’uomo. Temono di fare una scala per arrivare sino à Dio, che temono di conoscere co’ gradi delle Creature Spirituali, e vogliono più tosto farsene una per iscendere nel niente. Non vogliono assoggettare l’uomo alle sostanze meno materiali, e l’assoggettiscono ad un’esalazione, e senza considerare che non vi è alcun rispetto trà questo fumo chimerico e l’anima dell’Uomo trà questo vapore e le cose future, trà questa causa fievole e questi effetti miracolosi, basta loro d’essere singolari per credere che sono ragionevoli, e di niegare gli spiriti per sembrare dotti e giudiziosi..

- La singolarità dunque spiace molto a V. S. (interruppi)

- Ah (mi disse egli) è la peste del giudizio, e la pietra d’inciampo de’ giudiziosi. Aristotele, per gran logico che fosse, non hà potuto evitare il laccio, nel quale la fantasia ed il ghiribizzo della singolarità induce tutti, non hà potuto, dico, evitare d’imbrogliarsi e di contraddirsi. Dice nel libro della generazione degli animali, e nella sua morale, che l’intelletto umano viene dall’uomo esteriormente, e che non può procedere dal Padre : e per la spiritualità delle operazioni dell’anima conchiude esser’essa d’un altra natura che il composto materiale che anima, e la cui materialità non fa che offuscare le speculazioni invece di contribuire alla loro produzione. Cieco Aristotele ! poiché secondo esso il composto materiale non puol’essere l’origine de’ pensieri spirituali, e vuole poi che un’esalazione fievole possa essere la causa de’ pensieri sublimi, e dello scopo pio de’ Pitoni che oracolizzano. Ecco come si contradice, e come la singolarità lo fa traviare.

- V. S. parla benissimo (gli dissi) - sperando di sanarlo dalla sua demenza, già che vedevo che parlava bene, dio voglia che.....

- Plutarco (interruppe egli) tanto sodo, muove a compassione ne’ suoi dialoghi, perché gli oracoli ànno cessato. Si oppone varie cose convincenti che non risolve punto. Perché non si risponde degli, quando gli si dice che se è l’esalazione che sia la causa di questi trasporti ed entusiasmi, tutti quegli che si avicinano al trepiede fatidico sarebbero pieni d’entusiasmi, e non una zitella sola, ed ancora è d’uopo ch’essa sia vergine ? Mà come può questo vapore articolar voci nel ventre ? Di più questa esalazione è una causa naturale, necessaria, che deve fare il suo effetto regolarmente e sempre : e perché questa zitella è agitata solo quando vien consultata ? E perché la terra hà cessato ella di tramandare simili vapori ? E’ essa meno terra di prima ? riceve ella altri influssi ? ha essa altri mari, e fiumi ? Chi hà dunque otturato i suoi pori, ò mutata la sua natura ? Ammiro Ponponaccio, Lucillo ed altri d’aver pigliato l’idea di Plutarco, e d’aver lasciato il modo con che si spiega. Egli aveva parlato più giudiziosamente d’Aristotele e di Cicerone. Com’egli era uomo giudizioso, e non sapendo che conchiudere degli Oracoli, doppo un’irresoluzione tediosa, si era prefisso che tal’esaltazione era uno Spirito Divino ; così attribuisce alla divinità que’ moti e chiarezze straordinarie delle sacerdotesse d’Apollo (Questo vapore indovino- dic’egli - è un soffio ed uno spirito divino e santo). Ponponaccio, Lucillo e gli Atei moderni non tengono simili discorsi, che suppongono la divinità . Tai esalazioni (dicono eglino) erano della natura de’ vapori che infettano gli Atribilarj, che parlano linguaggio che non sanno. Ma Fernello refuta questi empj, provando che la bile, che è un’umor peccante non può cagionare questa diversità di linguaggi, che è un effetto miracoloso della considerazione, ed un espressione artifiziale de’ nostri pensieri. Egli hà però deciso la cosa imperfettamente quando si è soscritto a Psellio ed altri che non ànno capito la nostra filosofia. Non sapendo d’onde pigliare le cause di tanti effetti, hà fatto come le Donne ed i Frati e li hà attribuiti al Demonio. -

- A chi dunque attribuirli (gli dissi) è un pezzo che aspetto tal segreto.

- Plutarco stesso l’hà notato (mi disse egli) ed avrebbe fatto bene di tenervisi. Questo modo irregolare di spiegarsi per un organo indecente, non essendo assai grave e degno della maestà de’ Dij (dice questo pagano) e superando quanto dicevano gli Oracoli le forze dell’anima dell’Uomo, quegli ànno reso un buon servizio alla Filosofia che ànno stabilito alcune creature mortali trà gli Dij e gli uomini, a’ quali si può riferire quanto supera la fievolezza umana, e che non si avvicina alla grandezza divina. Quest’opinione è di tutta la filosofia antica. I Platonici, e Pitagorici lò’avevano pigliata dagli Egizj, e questi da Gioseppe e dagli ebrei che abitarono l’Egitto prima del passaggio del mar Rosso. Gli Ebrei chiamano queste sostanze che sono tra gli Angeli e l’uomo Sadaim ed i Greci trasportando le sillabe e non aggiungendovi che una lettera, Daimonos. Questi Demonj sono appo gli antichi Filosofi un popolo aereo dominante gli elementi, mortale, generante, incognito in quel secolo a’ quegli che tracciavano poco la verità nella sua antica stanza, cioè la nella Gabala, e nella teologia degli Ebrei che avevano appo d’essi l’arte particolare di trattenere questa nazione aerea, e di conversar con essa.

- Eccola ancora, per quanto io credo (interruppi) alli suoi Silfi.

- Sì (continuò egli). Il Terafim de’ Giudei non era che la cerimonia che bisognava osservare per tal comercio ; e quel Micas ebreo che si lagna nel libro de’ Giudici che sono stati levati li suoi Dij, non piagne che la perdita della statua nella quale i Silfi lo trattenevano. I Dij che Rachele rubbò a suo Padre, erano un Terafim. Micas, né Labano non sono ripresi d’idolatria : e Giacobbe non avrebbe vissuto quatordici anni con un’Idolatra, né sposato la sua figlia. Ciò non era che un comercio de’ Sifi : e noi sappiamo per tradizione che la Sinagoga teneva tal comercio lecito, e che ‘Idolo della moglie di Davide non era che il Terafim col quale teneva comercio co’ popoli elementarj : poiché V. S. può ben credere che un simile Profeta non avrebbe tolerato l’Idolatria in casa sua. Questi Elementarj prima della venuta del Messia pigliavano piacere a’ spiegar’agli uomini negli oracoli quanto sapevano di Dio ; ed à mostrar loro à vivere moralmente, à dar loro consigli prudenti ed utilissimi, come se ne vedono molti appo Plutarco ed altri Storici. Ma quando Dio ebbe pietà del mondo, e volle divenir’egli stesso Dottore, questi Dottorelli si ritirarono, e quinci il silenzio degli Oracoli.

- Risulta dunque (replicai) da tutto il discorso, che vi sono stati Oracoli, e che i Silfi li rendevano ; e che sono dessi che li rendono ogni giorno ne’ bicchieri, negli specchi e crivelli.

- Li Silfi,ò Salamandri, i Gnomi ò li Ondini (ripigliò egli)

- Se ciò è (replicai) i di lei Elementarj sono bene poco onesti.

- Perché ?(disse egli)

- Eh, puossi vedere cosa più brutta (seguitai) che tutte queste risposte equivoche che davano sempre.

- Sempre ? (ripigliò egli). Ah non sempre. Quella Silfide che apparve a quel romano in Asia e che gli predisse che vi riverrebbe una fiata in qualità di Proconsole, parlava forsi essa con oscurità ? E Tacito non dice egli che la cosa successe com’era stata predetta ? Quell’iscrizione, e quelle statue famose nelle Storie di Spagna, che predissero allo sfortunato Rè Rodrigo che la sua curiosità e la sua incontinenza sarebbero castigate da persone vestite ed armate come loro, e che questi uomini neri s’apponderarebbero della Spagna, e vi regnarebbero lungo tempo. Ciò non poteva essere più chiaro, e se ne vidde l’effetto lo stesso anno, perché i Mori stronarono questo Rè effeminato, e V. S. ne sa la storia ; e V. S. vede bene che il Demonio, che doppo la venuta del Messia non dispone degl’Imperi, non hà potuto esser’autore di questo Oracolo, e che sicuramente è stato qualche Gran Gabalista che l’aveva saputo da qualche Salamandra delle più dotte : poiche come queste cose amano molto la castità, ci dicono volentieri li disastri che devono arrivare al mondo per la mancanza od intaccamento di tal virtù.-

- Ma Signore (gli dissi) trova V. S. casto e degno del pudore Cabalistico quell’organo eteroclito di cui si servivano per predicare la loro Morale ?

- Ah questa volta (disse ridendo) V. S. è pazzo, non vede ella la ragione fisica che fa che il Salamandra infiammato si piace nei luoghi più ignei, ed è attratto dal....

- Intendo, intendo (interruppi) senza che si spieghi più avanti

- Quanto all’oscurità d’alcuni Oracoli (seguì egli gravemente) che V. S. chiama bruttezza e sporchezze, le tenebre non sono elleno l’abito ordinario della verità ? L’oracolo continuo lasciato da Dio, la Scrittura dico,, non è ella ingombrata d’una oscurità santa che confonde i superbi come conduce gli umili ? Se V.S. non hà che questa difficoltà, la conseglio à non differire d’entrare in comercio co’ questi Elementarj. V. S. li troverà onesti, sapienti, benefici e timorosi di Dio. Son di parere che V. S. cominci da’ Salamandri, perche il suo Marte denoti molto ardore nelle sue azioni ; E per il matrimonio son di parere che si pigli una Silfide. V. S. sarà più felice con ella che con altre, perché il suo Giove in sestile di Venere presiede all’aere e popoli aerei. Però squitini il suo interiore, perchè come saprà un giorno, è per gli astri interiori che il Savio si governa, e gli astri del cielo esteriore non servono che a fargli conoscere più certi gli aspetti degli astri del Cielo interiore, che è in ogni creatura. Così tocca àV. S. a dir la sua inclinazione per procedere all’alleanza cogli Elementarj che gli saranno più à grado.-

- Ciò (risposi) richiede tempo per deliberarmi - e sovra questo ritornassimo a Coppenaga, ed in istrada lo feci discorrere degli Atei e non hò mai udito parlare cotanto bene, né dire cose sì sode per l’esistenza di Dio e contro l’accecamento di quegli, che passano la loro vita senza darsi ad un culto continuo di quello dal quale teniamo l’essere e che ci conserva. Ed assicuro V. E. ch’ero attonito dal carattere di questo signore, e non potevo capire come poteva essere in uno stesso tempo tanto forte e tanto fievole, si mirabile quanto ridicolo.

Frà tanto in me stesso ruminavo tutte queste cose, ed avrei volentieri desiderato che quanto m’aveva detto fosse vero, perche volentieri avrei voluto aver comercio co’ Gnomi per aver da essi Tesori e segreti proprj per accumular danari per potermi astenere dalle fatiche continue alle quali m’ero dedicato per tracciare la Pietra Filsosfale, mà quando squitinavo tutto, trovavo che era chimerico, e così lasciando tutti questi Elementarj chimerici nel loro niente, continuai le principali fatiche per questo Rè, né mi sono più curato di vedere questo Signore per qualche tempo. Egli mi è stato à cercare già due volte, mà non avevo tempo di parlargli. Se lo vedrò di nuovo non mancarò di dar parte à V. E. della continuazione di questo trattenimento bizzarro, che dal detto si può dedurre che sarà bello.

Frà tanto V. E. può spassarsi di questo fin ad altro tempo, che mi verrà fatto di trattenerla d’altre cose, e la supplico di credere che in ogni occasione mi gloriarò d’essere con rispetto e riverenza

D. V. E.

da Coppenaga li 16 Maggio 1666


2) - Eccellentissimo Signore

Eccomi di nuovo con questa à dare spasso , per quanto m’imagino à V. E. colla continuazione del discorso di quel Signore Danese, del quale già le scrissi in altra mia lungo ragionamento, circa l’esistenza di certe creature Elementari, come da quella V. E. avrà visto. Hò tardato tanto perché hò tardato d’abboccarmi con esso, quantunque egli lo desiderasse in sommo e che ne sollecitasse li mezi : mà miei soffiamenti mi tenevano talmente occupato che non hò avuto tempo per dare qualche ora à simili trattenimenti, finche arrabbiato un giorno per lo scoppio di qualche vaso di liquor prezioso, che avevo quasi ridotto à perfezione, e ciò per aver dato fuoco quasi in eccesso, godei che giustamente mi venne à trovare, che servì per dar sollievo all’affanno che mi rodeva il cuore.

Egli m’accostò : - Embé (mi diss’egli) per quale specie de’ popoli invisibili hà V. S. maggior inclinazione, per le Salamandre, Gnomidi, Ondini o Silfidi ? -

- Non ho ancora (risposi) risoluto il matrimonio, e se lo volessi, amerei meglio con le Gnomidi che con altre, affinche per amore mi facessero riuscire la pietra Filosofale. -

- E perché non si risolve ? (ripigliò) -

- A’ parlare ingenuamente, Signore (gli dissi) non posso mutar pensiero, né l’immaginatione : questa mi rappresenta sempre questi Elementarj come tanti griffagni del diavolo.

- Oh Dio (esclamò egli) non chiudi di grazia l’adito alla verità, sia più docile. Ma nò, lo dispenso d’esserlo perché si offende la verità con prepararle strada.

Essa sa abbattere le porte di ferro ed entrare ovunque vuole à malgrado della resistenza della menzogna. E che può V. S. opporle ? Forsi che Dio non ha potuto creare tali sostanze elementari ? -

- Non hò squitinato (gli dissi) se vi è qualche impossibilità nella stessa cosa. Se un elemento solo può somministrare sangue, carne d ossa, se vi puol’essere un temperamento senza mescolazione, ed azione senza contrarietà ; ma supposto che Dio l’abbia potuto fare, che pruova soda evvi che l’abbia potuto fare ?-

- Vuol V. S. esserne convinto all’istante (ripigliò egli) senza tante maniere ? me ne vado a far venire i Silfi di Cardano, e V. S. sentirà dalla loro bocca ciò che sono e quanto gliene hò detto. -

- Nò nò, di grazia Signore (eclamai) differischi la supplico questa sorte di pruova, finche sij persuaso che costoro non sono nemici di Dio, posciache fin’à questo vorrei piùttosto morire che far questo torto alla mia coscienza di......-

- Ecco l’ignoranza e la devozione falsa di questi tempi ! (interruppe egli) Perché non si scancella dal Calendario de’ Santi il maggiore degli Anacoreti ? perché non si abbracciano le sue statue ? E’ peccato che si gettino al vento le sue ceneri, come quelle di chi vien accusato d’aver comercio col Demonio. Non hà egli esorcizzato i Silfi, e non li hà egli trattati come uomini ? Che hà V. S. à dire à questo Signor scrupoloso ? Il Silfo che discorre della sua natura à quel Patriarca, à suo parere, è egli un griffagno del Diavolo ? E’ egli con uno spirito folletto che quell’uomo incomparabile ebbe conferenza nel Vangelo ? ed accusarallo V. S. d’avere profanato que’ Sagri Misterj parlandone con una fantasima nemica dell’Altissimo ? Atanasio e Gerolamo sono dunque indegni della gran fama che ànno fra i di lei Dottori, d’avere scritto con tant’ Eloquenza ‘elogio d’un uomo che trattava tanto umanamente co’ diavoli : Se pigliavano quel Silfo pèr un diavolo, bisognava ò celarne l’accidente, ò levare la predicazione in ispirito, ò quell’apostrofe sì patetica che fa il più zelante anacoreta, ma più credulo di V. S. alla città di Alessandria ; se l’ànno pigliato per una creatura che aveva parte, come assicurava, nella redenzione come noi ; e se tal’ apparizione, a loro parere, è una grazia straordinaria che Dio faceva al Santo di cui scrivono la vita, perché voler essere più sapiente d’ Atanasio e Gerolamo, e più santo d’Antonio Eremita ? che avrebbe V.S. detto ad Antonio, se V. S. fosse stato nel numero de’ dieci mila solitarj a’ quali narrò la conversazione avuta col Silfo ? Più savio ed illuminato di tutti quegli Angeli Terrestri V. S. avrebbe rimostrato al Santo Abbate che tal conversazione non era che una semplice illusione, ed avrebbe dissuaso il suo discepolo Atanasio di far sapere à tutta la terra una storia sì poco conforme alla religione, all Filosofia ed al suo buon senso. Non è egli vero ?-

- Egli è vero (gli dissi) che sarei stato di parere ò di non parlarne, ò di dirne di più.-

- Atanasio e Gerolamo (ripigliò egli) non potevano dirne di più, perché non ne sapevano di più, e quando avrebbero saputo tutto, il che non può essere se non si è nel numero di noi altri, non avrebbero divulgato temerariamente li segreti della sapienza.-

- Ma perché, replicai) non propose questo Silfo à Sant’Antonio quanto V. S. mi propone adesso ?

- Che (diss’ egli ridendo) il matrimonio ? Ah ! sarebbe stato a proposito ?

- Egli è vero (ripigliai) che apparentemente il buon vecchio non avrebbe accettato il partito, e l’offerta. -

- Non certo (diss’ egli) perché sarebbe stato tentar Dio di maritarsi in quell’età e domandargli prole.

- Come ? (ripigliai) si marita dunque con le Silfidi per aver prole ?

- Perché dunque (disse egli) è farsi, che è mai lecito maritarsi per altro fine ?

- Non istimavo (risposi ) che si pretendeva da queste descendenza, e credevo che tutto terminasse ad immortalare le Silfidi.

- Ah ! V. S. aveva torto (seguì egli), la carità de’ Filosofi fa ch’eglino si propongono l’immortalità delle Silfidi : ma la natura fa ch’eglino desiderano di vederle feconde ; V. S. vedrà nell’aere, quando vorrà, queste famiglie filosofiche. Oh mondo felice se non vi fossero che queste famiglie, e se non vi fossero figli d’iniquità !

- Ma che chiama V. S. (interruppi) figli d’iniquità e del peccato ?.

- Sono (continuò egli) tutti i figli che nascono per la strada ordinaria ; concepiti per la volontà della carne e non di Dio, figli d’Ira e di maledizione, ed in una parola figli d’Uomo e di Donna. V. S. desia d’interrompermi, vedo bene quanto mi vorrebbe dire. Si, sappia che non fu mai la volontà del Signore che l’uomo e la donna avessero figli nel modo che ànno. Il disegno era più nobile. E se Adamo non avesse disubbidito all’ordine che aveva di non toccar’ Eva, e che si fosse accontentato del rimanente de’ frutti del Paradiso terrestre, di tutte le bellezze delle Elementari, il mondo non sarebbe pieno di uomini imperfetti, che ponno passare per mostri à rispetto de’ figli de’ Filosofi.

- Come (gli dissi) V. S. crede per quanto vedo che il fallo d’Adamo è ben altro che d’aver mangiato un melo ?

- Non lo crede (ripigliò) perché la scrittura dice altrimenti ; anzi detesto quelli che non vogliono credere alla Scrittura Sagra. Ma gli parlo in senso d’alcuni che non pigliano la storia del melo letteralmente. Dicono che la lingua santa suole metaforizzare per allontanare da noi le idee poco oneste d’un’ azione cagionatrice delle sfortune del genere umano. Così quando Salomone diceva che voleva salire sulla Palma, e come frutti ci dicono che aveva tutt’altro appetito che di magnar dattoli. La lingua degli Angeli tutta pura e casta, non ha termini per ispiegare ed esprimere quanto nomina melo o dattolo. Ma questi cifrano tai figure quando vedono che il gusto e la bocca d’Eva non sono gastigati, che partorisce ne’ dolori, vogliono che il gusto non sia reo, e stimano di scoprire il primo peccato per la cura che pigliarono i primi peccatori di celare con foglie certi luoghi del corpo, e conchiudono che l’uomo non doveva moltiplicarsi per questa strada. Se ciò fosse vero, così come è falso, Adamo non doveva generare che uomini suoi pari, od Eroi ò Giganti.

-E che espediente vi era (interruppi) per queste generazioni mirabili ?

- Non toccare (replicò) che le creature elementari. E così non sarebbero nati che Eroi, e l’Universo sarebbe stato popolato di persone forti. Si può congetturare la differenza che vi era tra il mondo innocente ed il colpevole d’oggidì per i figli nati così alcune fiate.

- si sono dunque visti (di questi figli degli elementi ? Ed un dottore che mi citò, vi è qualche tempo, San Agostino, San Gerolamo e san Gregorio Nazianzeno, si è dunque ingannato, credendo che non potesse nascer prole dall’amore degli Spiriti colle Donne, ò dal comercio che ponno aver certi uomini cò certi demonj che chiamava Ifialti, incubi e succubi.

- Lattanzio hà ragionato meglio, e Tomaso d’Aquino ha risoluto sodamente che non solamente tai comercj potevano esser fecondi, ma che i figlj che ne nascono sono d’una natura più generosa, ed eroica. V. S. leggerà a suo piacere i fati generosi di que’ uomini potenti e famosi che asserisce il Legislatore Mosé che sono nati così. Noi ne abbiamo la storia al vigesimo terzo Capitolo de’ Numeri. Fratanto giudichi come sarebbe il mondo se tutti gli suoi abitanti rassomigliassero, per esempio, a Zoroastre.

- Zoroastre (gli dissi) che vien detto esser l’Autore della Negromanzia ?

- Egli stesso (disse egli) di cui gl’ignoranti ànno scritto questa calunnia, egli aveva l’onore d’esser figlio di Oromasi Salamandro e di Vesta moglie di Noé. Visse dodici secoli il più Savio Monarca del mondo, e poi fù rapito da Oromasi suo Padre ne’ la Regione delle Salamandre.

- Io non dubito (gli dissi) che Zoroastre non sij nel fuoco con Oromasi, mà non vorrei fare l’oltraggio che v. S. fa à Noé.

- L’oltraggio non è sì grande come V S. crede (mi replicò). Tutti que’ Patriarchi si recavano a grand’onore d’essere i padri putativi de’ figli che gli Elementarij volevano avere dalle loro donne.

- Certo (ripigliai) non sarebbero di quell’umore nella nostra Italia. Gli uomini sono troppo gelosi delle loro mogli, che di lasciarsi fare loro le corna dal Diavolo.

- Ben bene (continuò egli) ritorniamo a Oromasi. Questo fu amato da Vesta moglie di Noé. Questa, sendo morta fù il genio tutelare di Roma, ed il fuoco sagro ch’essa voleva che le Vergini conservassero con tanta cura, era in onore di Oromasi Salmandro suo Amante. Oltre Zoroastre nacque dall’amore loro una figlia di rara beltà e d’una sapienza estrema, chiamata Numa, ch’essa amava di far ergere un tempio à Vesta sua madre, dove si terrebbe il fuoco segreto in onore di Oromasi suo Padre. Ecco la verità della favola, narrata dà Poeti e Storici Romani della Ninfa Egeria.

Guiglielmo Postello, il meno ignorante di tutti quegli che ànno studiato la Gabala ne’ libri communi, hà saputo che Vesta era moglie di Noé ; mà non hà saputo che Egeria fosse il buon Genio della moglie di Noé. Si sa da questi libri che Egeria fu concetta sull’acqua mentre Noé vagava sulle onde vendicatrici che inondavano l ‘Universo ; le Donne erano allora ridotte al poco numero che si salvarono nell’Arca Gabalistica, che questo secondo Padre del Mondo fece fabricare. Questo pover’uomo temendo di vedere il castigo spaventevole con che venivano puniti i falli cagionati dal peccato di Adamo, fatto accorto dall’esempio di questo acconsentì che Vesta sua moglie si dasse ad Oromasi Prencipe delle sostanze ignee, e persuase ad i suoi tre figli di cedere le loro tre mogli à Principi degli altri tre elementi. L’universo fra poco fù ripopolato d’uomini eroici, sì sapienti, sì belli e sì mirabili, che la posterità, abbacinata dalla loro virtù , li hà pigliati per tante divinità. Uno de’ figli di Noé, rubelle al conseglio del Padre, non poté resistere agli allettamenti di sua moglie ; mà come il peccato d’Adamo aveva annegrito tutte le anime de’ suoi discendenti, la poca compiacenza che Cam ebbe per le Silfidi annerì tutta la sua posterità. Da ciò nasce, dicono i gabalisti, la nerezza degli Etiopi e di tutti que’ popoli diformi, à quali viene commandato d’abitare sotto la zona torrida per castigo dell’ardore profano del Padre loro.

- In verità (gli dissi) ecco ghiribizzi molto singolari, e la di lei Gabala serve mirabilmente per iscifrare l’antichità.

- Hò detto(replicò egli) che ciò viene asseriti da alcuni, che volendo forsi penetrare troppo avanti, s’impazziscono, mà per me sto attaccato alla scrittura, né presto fede a cose simili. Egli è ben vero che in molte cose la Gabala serve, e mi creda che nelle cose profane (toltene le sagre) senz’essa la storia, la favola e la natura sono cose oscure ed inintelligibili.

- Perché dunque (diss’io) adduce tra questi ghiribizzi le cose sacre ?

- Lo faccio (replicò egli) affinché V. S. Sappia tutto quanto si dice de’ Gabalisti, e che poi rigetti quanto si deve rigettare, e non s’appigli che a quanto non offende la scrittura sagra, perché questa si deve evitare di offendere per non incorrere nella taccia di profano. Questi che ànno voluto penetrare più avanti, dicono bene cose di ugual rilievo. Dicono che l’ingiuria che fece Cam a suo Padre non fu tale, come si spiega litteralmente. Mà che uscito Noé dall’Arca, e vedendo che Vesta sua moglie non faceva che divenir più bella col comercio col suo Oromasi, rivenne passionato per essa. Cam, temendo che suo Padre non ripopolasse la terra di persone sì nere che li suoi Etiopi, pigliò il suo tempo, che il buon Vecchio era pieno di vino, e lo castrò senza misericordia. V. S. ride ?

- Io rido del zelo indiscreto di Cam (gli dissi)

- E’ d’uopo piuttosto ammirare l’onestà di Oromasi, che la gelosia non impedì di aver compassione del suo Rivale. Insegnò a suo figlio Zoroastro, chiamato altrimente Jafel, il nome divino che esprime la sua fecondità eterna. Jafel pronunciò sei fiate, alternativamente con suo fratello, indietreggiando verso il Patriarca, il nome insegnatogli, e restituirono al buon vecchio le parti recise. Questa storia mal’ intesa hà fatto dire a’ Greci che il più vecchio de’ Dij era stato castrato da uno de’ suoi figli, mà quegli che l’asseriscono così tengono la cosa vera per nel modo narrato. Donde (se fosse vero) si potrebbe vedere quanto la morale de’ popoli ignei sia più umana della nostra, e più di quella degli altri Elementarij ; pecché la gelosia di questi altri è più crudele, come ce lo dimostra Paracelso in un caso che narra, e che è stato visto da tutta la città di Stranffemberg. Un Filosofo, con cui era entrata in comercio d’immortalità una Ninfa, fu assai inonesta per amare una femina, come pranzava colla nuova Amata ed altri amici, si vidde nell’aria la più bella coscia del mondo : l’amante invisibile volle bene farla vedere agli amici del suo infedele, affinché giudicassero del torto che aveva di preferirle una femina. Doppo che la ninfa sdegnata lo fece morire nello stesso momento.

- Ah signore (esclamai) Ciò potrebbe bene frastornarmi da queste amanti cotanto delicate..

- Confesso (replicò egli) che la loro delicatezza è un poco violenta. Ma se si sono viste tra le femine alcune amanti irate far morire i loro spergiuri amanti, non bisogna stupirsi che queste amanti sì belle e fedeli si trasportino, quando vengono tradite, massime che elleno non esigono dagli uomini che d’astenersi dalle femine, i cui difetti non sono loro tolerabili, e ch’elleno ci permettono d’amarne, tra esse, quante ne vogliamo. Elleno antepongono l’interesse e l’immortalità delle loro compagne alla sodisfazione particolare, ed elleno godono che i Savij dijno alla loro repubblica tanti figli quanto ne ponno dare.

- Ma infine (ripigliai) donde procede che ci sono tanti pochi esempi di quanto mi dice.

- Ve ne è un gran numero (sieguì egli) mà non vi si fa riflesso, o non vi si presta fede, od infine si spiegano male per mancanza du conoscerne i principi. Si attribuisce al Demonio quanto si deve attribuire agli Elementarj. Un Gnomicello si fa amare dalla famosa Maddalena della Croce, Abbadessa di un monastero di Cordova in Ispagna, Ella lo rende felice e l’accontenta fin dall’età di dodici anni, e continuano il loro comercio per trent’anni. Un direttore ignorante persuade Maddalena che il suo amante è un folletto, e la costringe a chiedere assoluzione da Papa Paolo III. Frattanto è impossibile che fosse un Demonio, pecché tutta l’Europa ha saputo e Cassiodoro Renio hà voluto mandar’alla posterità il miracolo che si faceva ogni giorno a favore della zitella, il che non sarebbe successo se il suo comercio col gnomo fosse stato diabolico, come se lo prefiggeva il Venerabil Direttore. Questo Dottore avrebbe detto con ardire, se non m’inganno, che il Silfo che s’immortalava colla giovane Gertrude, monaca nel Monastrero di Nazzaretto nella diocesi di Colonia era qualche diavolo.

- Certo (gli dissi) e così lo credo.

- Ah ! (sieguì egli ridendo) Se ciò è il Diavolo, non è guari infelice di poter aver un comercio di amore con una zitella di tredici anni, e scriverle i viglietti pieni di espressioni amorose che le furono trovati. Creda V. S. che il diavolo hà nella regione della morte occupazioni più tristi ; ma è così che si chiudono volontariamente gli occhi. Si trova, per esempio, in Tito Livio che Romolo era figlio di Marte, i giudiziosi dicono esser una favola : i teologi che era figlio del Diavolo incubo ed i Spassosi che la Signora Silvia avea perduto li suoi guanti verginali,e che ne volle pagliare la vergogna , dicendo che un Dio gliele aveva rubbati Ma i Cabalisti dicono che questo Marte era un Salamandro, che, innamorato di Silvia la fece madre del gran Romolo, quell’eroe, che doppo aver fondata la sua famosa Città, fu rapito da suo Padre in un carro infiammato, come fù Zoroastre da Oromasi.. Un altro Salamandro fù Padre di Servio Tullio ; Tito Livio dice che fù il Dio del Fuoco, ingannato per la rassomiglianza ; e gli ignoranti ànno fatto lo stesso giudizio, come del Padre di Romolo. Il famoso Ercole, e l’invincibile -Alessandro erano figlij del maggiore de’ Silfi : gli Storici che lo ignoravano ànno detto che Giove era loro Padre ; eglino dicevano la verità, posciaché come V. S, hà udito, sendosi questi Elementarij erti in tante Divinità, gli Storici, che li credevano tali, chiamavano figli delli Dij tutti quelli che ne nascevano. Tal fù Platone, Apollonio Tianeo, Ercole, Achille, Serpedone , il Pio Enea ed il famoso Melchisedec ; posciache sa chi fu il Padre di Melchisedec ?

- No (gli risposi).

- Il Padre di Melchisedec (ripigliò egli) era un Silfo, e questo Re di Salem fù concetto nell’arca dalla moglie di Sem. Il modo di sacrificare di questo Pontefice, era lo stesso che insegnò Egeria sua Cugina à Numa, come altresì l’adorazione di una divinità sovrana senza imagini né statue ; per lo che divenuti li Romani Idolatri qualche tempo doppo, abbruciarono i libri di Numa, dettati da Egeria. Il primo Dio de’ Romani era il vero Dio, il loro sacrifizio era il vero, eglino offrivano pane e vino al sommo monarca del Mondo, mà tutto indi si pervertì. Dio non lasciò però in ricognizione del primo culto di dare à questa città l’Impero dell’Universo. Lo stesso sacrifizio che Melchisedec.......

- La supplico Signore (interruppi) lasciamo lì Melchisedec, il Silfo che lo generò, Egeria sua Cugina ed il sacrifizio del pane e del vino. Queste pruove mi sembrano un poco vecchie : e V. S. mi obbligherebbe bene di dirmene di più fresche e nuove, perché ho udito dire à un dottore, a chi fù chiesto ch’ erano divenuti i compagni di quella spezie di Satiro che appariva a Sant’Antonio e che V. S. hà nominato Silfo, che tutt’ ora sono morti. Così gli Elementarij potrebbero bene esser periti, giacché V. S. li confessa mortali, e che non se ne hà nuova alcuna.

- D’onde hà pigliato questo Dottore (replicò egli gravemente) che gli elementi sono deserti, e che tutti que’ popoli sono annichiliti ? Se volesse leggere un poco le storie, e non attribuire al Demonio, come fanno le Donnicciuole, quando supera la chimerica Teorica che si fa della natura, trovarebbe in ogni tempo e luogo pruove di quanto hò detto. Che direbbe questi Dottore della storia autentica arrivata poco fa in Ispagna ? Una bella silfide si fece amare da uno Spagnuolo, visse con esso lui tre anni e poi morì. Dirassi che fosse un Diavolo ? La bella risposta puuuh ! Secondo qual fisica può il Diavolo organizzare un corpo di Donna, concepire, partorire ed allattare ? Che pruova essi nella Scrittura, del potere che sono costretti i Teologi di dare al Demonio in tal’ occasione ? E qual ragione verisimile può dar loro fievole fisica ? Del Rio gesuita narra molti di questi casi, e senza imbrogliarsi di ragioni fisiche conchiude che questi Silfidi erano Demonij ; così i più gran Dottori non fanno bene spesso più delle Donnicciuole. Impari V.S. ad esser umile, ed a non dare, come fanno i Savij, a’ Demoni alcun potere della natura, da che la pietra fatale li hà rinchiusi nelle cloache abissali. Impari da’ Filosofi a cercar sempre le cause naturali in ogni cosa straordinaria ; e quando queste mancano ricorri à Dio ed à suoi Angeli, e mai a’ demoni, che non possono più niente che soffrire, Altrimente V. S. attribuirà al Diavolo l’onore delle opre più mirabili della natura. Quando gli si direbbe ad esempio che Apollonio Tianeo fù concetto senza operazione d’uomo, e che un Salamandro scese per immortalarsi con sua Madre, V. S. direbbe che questo sarebbe un Demonio, e V. S. Darebbe la gloria al Diavolo della generazione d’uno de’ maggiori uomini che siano usciti da’ nostri matrimoni filosofici.

- Ma signore, (interruppi) questo Apollonio è reputato tra noi per un grande stregone, ed è quanto si dice di bene d’esso.

- Ecco (ripigliò) uno de’ più mirabili effetti dell’ignoranza e della cattiva educazione. Perché si odono dalla nodrice vane parole de’ Stregoni, tutto lo straordinario non puol avere che il diavolo per autore. I maggiori dottori faccino quanto vogliono, non saranno creduti, se non parlano come le nodrici. Apollonio non è nato d’uomo, intende il linguaggio degli uccelli, è visto in uno stesso giorno in varij luoghi del mondo, sparisce alla presenza di Domiziano che vuol maltrattarlo, resuscita una fanciulla per virtù onomantica ; dice un Efeso in una ragugnanza di tutta l’Asia, che nella stessa ora vien’ ucciso a Roma il Tiranno. Si tratta di far giudizio di quest’uomo, la nodrice dice che era uno Stregone, S. Gerolamo e S Giustino martire dicono che non è che un Gran Filosofo. Gerolamo, Giustino ed i nostri Gabalisti saranno ghiribizzosi, ed una donnicciuola avrà la vittoria. Ah ! che l’ignorante perisca nella sua ignoranza, mà si salvi V. S. dal naufragio. Quando V. S. leggerà che il famoso Merlino nacque senza operazione d’uomo, d’una monaca, figlia del Ré della Gran Bretagna, e che egli prediceva il futuro più chiaramente di Tiresia, non dica col popolo che fosse figlio d’un Demonio incubo, perché non è vero, né profetizzo per arte diabolica, perché il Demonio è la più ignorante di tutte le creature. Dica co’ Savij che la Principessa Inglese fù consolata nella sua solitudine da un Silfo che aveva compassione d’essa, che pigliò cura di darle spasso, che seppe piacerle, e che Merlino loro figlio fù aglievato dal Silfo in ogni scienza, ed imparò da esso à fare tutte le cose mirabili narrate dalla Storia d’Inghilterra. Non faccia, di grazia, l’oltraggio a’ Conti di Cleve di dire che il Diavolo è Padre loro, ed abbia meglior opinione del Silfo, che, dice la storia che andò a Cleve sovra una nave miracolosa tirata da un Cigno che vi era attaccato con una catena d’argento ; questo Silfo doppo aver avuto varij figli dalla erede di Cleve ripartì un giorno di mezo dì à vista di tutto il mondo sovra la sua nave aerea ; e che hà egli fatto a’ Dottori d’ergerlo in Demonio ? Darà V. S. a’ Conti di Poitiers della Casa di Lusignan di Francia una generazione diabolica ? Che dirà V. S. Della loro famosa Madre ?

- Stimo, Signore (interruppi) che V. S : mi vuol raccontare la favola di Melussina ?

- Ah ! se V. S. (ripigliò egli) vuol negarmi la storia di Melussina, gli cedo tutto ; mà se lo niega, bisognerà metter nel fuoco di libri di Paracelso, che sostiene in cinque o sei luoghi differenti non esservi cosa più certa che questa Melussina era una Ninfa e bisognerà far mentire gli Storici di Francia, che dicono che doppo la sua morte, o, per dir meglio, dopo che sparve agli occhi del Marito, non hà mai mancato, ogni fiata che i suoi discendenti erano minacciati di qualche disgrazia, ò che qualche Ré di Francia doveva morire straordinariamente, di comparire in abito lugubre sulla gran torre del Castello di Lusignano ch’essa aveva fatto edificare. V. S. avrebbe, e sarebbe in discordia cò tutti li discendenti di questa Ninfa, ò che sono parenti di questa famiglia, se si ostina à dir che fosse il Diavolo.

- Pensa V. S. (gli dissi) che questi Signori amino più tosto esser originarij dà Silfi ?

- Certo, (replicò egli) se sapesser quanto dico a V. S. , e si recarebbero à grand’onore tali nascite straordinarie. Non è egli più glorioso per qué sgnori di descendere da queste Creature sì perfette, savie e potenti, che da qualche spirito impuro ò da qualche infame Asmodeo.

- Signore (gli dissi) i Teologi non asseriranno mai che il Diavolo sia Padre di tutti questi uomini, che nascono senza che si sappia chi li mette al mondo. Eglino sanno che il Diavolo è uno spirito, e che cosa non può generare.

- Gregorio di Nizza (ripigliò egli) non dice questo, posciaché tiene che i Diavoli si moltiplicano tra essi, come gli uomini.

- -Non siamo del suo parere (riplicai) mà succede (dicono i nostri dottori) che......

- -Ah ! non dica (interruppe egli) quanto dicono, altrimenti V. S. direbbe com’ essi una sporchezza abominevole. E’ cosa Stupenda come ànno tutti abbracciato questa lordura, e come ànno pigliato piacere di mettere delle scudelette in imboscate per profittare dell’oziosa bestialità de’ solitarj, e metterne prontamente al mondo questi uomini miracolosi, di cui denegrano e deturpano la memoria illustre con un’origine sì turpe e sporca.

Chiamano eglino ciò un filosofare ? E ella cosa degna di dire, che Dio abia questa compiacenza per i Demoni, di favorire queste abominazioni, di concedere loro la grazia della fecondità, refutata a’ tali Santoni, e di ricompensare queste sporchezze col creare per questi embrioni d’iniquità, animi più eroici che per quegli, che sono stati formati nella castità d’un matrimonio legittimo ? E’ ella cosa degna della Religione di dire, come fanno i Teologi che il demonio può con tale abominevole artifizio ingravidare una Vergine , mentre dorme senz’intaccare la sua verginità ? Il che è tanto assurdo quanto è la storia di Tomaso D’Aquino (d’altrove autore sodo, e che sapeva un poco di Gabala) che dice nel suo sesto quodlibet d’una fanciulla corcata con suo Padre a’ chi fa succedere un simil caso a quello che dicono alcuni falsi Rabini, che avvenne alla figlia di Gieremia, alla quale fanno concepire il Gran Cabalista Benfiracco coll’entrare nel bagno doppo il Profeta. Giurerei che tale impertinenza è stata inventata da qualche........

- Se osassi Signore (interruppi) far pausa alla di lei esclamazione, confesserei per aquetarla, che sarebbe bene che i Teologi avessero trovato qualche soluzione che offendesse meno gli orecchi puri come li suoi. O dovevano niegare totalmente i fatti de’ quali si tratta.

- Buon mezo (ripigliò egli) eh ! che mezo è questo di niegare cose verissime ? Si metti V. S. nella vece di un Teologo, e supponga che il Beato Danuzero venga da V. S. come all’oracolo della sua Religione per iscuoprire la sua coscienza e gli dica : Signore io vengo d’Ultra montes. Hò uno scrupolo che mi stimola la coscienza. Vi è in una montagna d’Italia una Ninfa che tiene colà la sua Corte : Mille Ninfe la servono, quasi tanto belle ch’essa : molti uomini belli, sapienti ed onesti vanno colà da tutta la terra abitabile ; eglino amano queste Ninfe, e ne sono amati ; vi menano la vita più dolce e tranquilla del mondo ; ànno bellissima prole da quelle che amano ; adorano Dio vivente ; non nuocono ad alcuno e sperano l’immortalità. Spasseggiavo un giorno in questa montagna ; piacqui alla Ninfa Regina, si rende visibile, mi mostra la sua bella Corte. I savij, che s’accorgono che questa mi ama mi rispettano come loro Principe, mi esortano a corrispondere a’ sospiri ed alla beltà della Ninfa ; ella mi dice il suo martirio, e non lascia in oblio cosa veruna per muovermi, e mi rimostra infine che morirà se non la voglio amare, e che se io l’amo mi sarà tenuta della sua immortalità. I ragionamenti di que’ Savj ànno convinto il mio animo e le bellezze della Ninfa ànno guadagnato il mio cuore : io l’amo e ne hò figli di grande speranza, ma nel mezo della mia felicità son’ alle volte intorbidato dalla rimembranza che la Chiesa Romana non appruovi farsi tutto questo. Vengo dunque da V. S. per sapere chi è questa Ninfa, questi Savj, questi figli, ed in che stato sia la mia coscienza. che risponderebbe dunque V. S. al signor Danuzero ?

- Gli direi (risposi) con rispetto al Signor Danuzero, V. S. è un poco pazzo, ò la sua visione è un’ incantesimo ; i suoi figli e la sua Amata sono Demoni ; i Savj sono pazzi e la sua coscienza è ulcerata.

- Con tal risposta (ripigliò egli con un sospiro) V. S. potrebbe meritare la beretta dottorale, ma non già ‘essere ricevuto frà noi. Ecco la disposizione in che sono tutti li Dottori d’oggidì. Un povero Silfo non oserebbe mostrarsi senz’essere creduto un folletto ; una Ninfa non puol’ applicarsi a divenir immortale senza passare per una fantasima impura, ed un Salamandro non osa apparire di paura d’essere pigliato per un Diavolo, e le fiamme pure che lo compongono per un fuoco d’inferno, che lo concomita per tutte. Per quanto faccio per mostrare che non sono nemici di Dio, non ponno ottenere che non siano reputati rubelli a quel Dio che adorano più religiosamente di quegli che li fuggono.

- In verità Signore(gli dissi) V. S. crede che siano Elementarj molto divoti ?

- Divotissimi (rispose egli) e zelantissimi per la divinità : Li discorsi eccellentissimi che ci fanno dell’essenza divina e le loro orazioni, ci edificano molto.

- Anno eglino (gli dissi) altresì Orazioni ; desiarei bene di vederne una.

- Egli è agevole a soddisfarla (ripigliò) ed à fine di non riferirne una che possa parer sospetta, veda quella che riferisce Porfirio, che il Salamandro che rispondeva nel Tempio di Delfi volle ben insegnare a’ Pagani. Ella contiene una Teologia sublime, e vedrà da quella che non mancava da quelle Creature, che il mondo non adorasse il vero Dio.

- Io l’hò letta (risposi) e l’hò udita parafrasare da un Predicatore che provava con ciò che il Diavolo, oltre gli altri vizj che hà., soprattutto è un grand’Ipocrita.

- Embé (ripigliò egli) non tema che io le domandi, ma almeno non si stupisca per l’avvenire se non vede tanti esempi quanto ne vorrebbe della loro allianza cogli uomini. Oh Dio ! dov’è la femina chi li Dottori non abbiano corrotto l’imaginazione ? che non guardi con orrore questo comercio, e che non tremasse all’aspetto di un Silfo ? Dov’è l’uomo che non fugge di vederle, se si vanta d’essere uomo dabbene ? Si trova dunque che rarissimamente un uomo onorato, che voglia la loro famigliarità ? Ed evvi solamente la gente dissoluta, avara, ambiziosa od ingannatrice che cerchi quell’onore ? che non avranno però mai (Viva Dio) : perché il trimor di Dio è il principio della Sapienza.

- Che divengono dunque (gli dissi) tutti questi popoli volanti ora che le persone da bene sono preoccupate contr’esse ? Ah ! il braccio di Dio non è accorciato, ed il Demonio non trae tutto il vantaggio che sperava dall’ignoranza e dall’errore che hà sparso a pregiudizio loro ; posciaché oltre che i Filosofi, che sono in gran numero, vi rimediano quanto ponno col rinunziare le Donne, dio hà permesso ad essi di servirsi di tutti gli artefizj innocenti che potranno trovare per conversare cogli uomini senza loro saputa.

- E che mi dice V. S. ? (esclami)

- Gli dico la verità (sieguì egli) Crede V. S. che un cane, una scimia ed un orso possino aver prole da una Donna ?

- No (risposi) né un cane, ne scimia ned orso ; questo è impossibile senza dubbio ; contro lanatura, contro la ragione ed il buon senso.

- Molto bene (diss’ egli) mà i Rè de’ Goti non sono eglino nati d’un’ orso e d’una Principessa Svezzese ?

- Egli è vero (ripigliai) la storia lo dice.

- Ed i Pegusei, ed i Sionesi delle Indie (replicò egli) non sono eglino nati d’un cane e d’una Donna ?

- Hò letto ancora questo (gli dissi).

- E quella Donna Portughese (continuò egli) che esposta in un’isola deserta, ebbe prole da uno scimmiotto ?

- I teologi (gli dissi) rispondono a ciò, che pigliano il diavolo in figura di tai bestie....

- V. S. m’addurrà ancora (interruppe egli) le immaginazioni sporche di questi Autori. Comprenda una fiata per sempre che vedendo Silfi che sono pigliati per Demonj quando appariscono in forma umana, per isminuire l’avversione che si hà d’essi, pigliano la figura di tai animali, e s’aggiustano così alla fievolezza ghiribizzosa delle Donne, che avrebbero orrore di un bel Silfo, e che non ne ànno tanto per un cane, un’orso e per un scimiotto. Potrei dirvi varie storiette de’ cani di Bologna con certe zitelle del mondo ; mà voglio darvi contezza d’un maggior segreto. Sappia che tale vi è, chi si stima figlio d’un uomo, che è figlio d’un Silfo. Tale crede di essere con sua moglie, che senza pensarvi immortala una Ninfa. Tal donna pensa abbracciar suo Marito, che tiene trà le braccia un Salamandro e tal fanciulla giurarebbe nello svegliarsi che è Vergine, che hà avuto dormendo un’ onore che non sa. Così il Demonio e gl’Ignoranti vengano delusi ugualmente.

- Come ! Il Demonio (gli dissi) non saprebbe egli risvegliare questa fanciulla addormentata per impedire al Salamandro d’immortalarsi ?

- Lo potrebbe (ripigliò egli) se li Savj non vi mettessero ordine, ma noi insegnamo a’ que’ popoli di vincigliar’il Demonio ad opporsi a’ loro sforzi. Non gli diss’io che que’ popoli si stimano fortunati, quando vogliamo insegnar loro la nostra Gabala. Senza il nostro aiuto, il Diavolo, gran nemico loro, recarebbe loro gran disturbo, e stentarebbero ad immortalarsi senza saputa delle fanciulle.

- Non posso (replicai) ammirare assai l’ignoranza profonda nella quale siamo immersi. Si crede che le potenze aeree aiutano ale fiate gli amanti à conseguir l’intento, mà la cosa và al contrario, pecché elleno ànno d’uopo che gli uomini le servano nei loro amori.

- V. S. hà indovinato (disse egli) Il Savio dà soccorso a’ quei poveri popoli, troppo fievoli senza tal aiuto pe resistere a’ Diavoli. Così quando ànno imparato à pronunciare Gabalisticamente il nome di Dio, tutte le potenze delle tenebre fuggono, ed i Silfi godono tranquillamente quanto amano. Così fu imortalato quell’ingegnoso Silfo che pigliò la figura dell’amante di una Signora di Siviglia, la cui Storia è nota. La giovane Spagnuola era bella, ma tanto crudele quanto bella. Un cavagliere Castigliano che l’amava inutilmente, risolvette di partire una mattina senza dir niente, e d’andar à viaggiare finché fosse risanato della sua passione inutile. Trovando un Silfo questa bella à suo grado, pigliò questo tempo ed armandosi di quanto uno de’ nostri gli insegnò per difendersi dagli aguati che gli avrebbe potuto suscitar il Diavolo invidioso della sua buona fortuna, va a vedere la Dama sotto forma dell’amante lontano, si lagna , sospira, vien ributtato. Spigne, sollecita, persevera, dopo alcuni mesi fa breccia, si fa amare, persuade, e vien’ infine accontentato. Nasce dal’amor loro un figlio, la cui nascita viene celata a’ parenti colla destrezza dell’amante aereo. L’amore continua, si hà una seconda gravidanza, fra tanto il Cavagliere riavutosi per l’assenza dell’amore, ritorna a Siviglia, ed impaziente di rivedere la sua inumana, corre à dirgli che è infine in stato di non piacerle più, e che và ad annunciarle che non la ama più. Si prefigga di grazia l’aggechimento della zitella, la sua risposta, i suoi pianti, i suoi rimbrocci e tutto il loro Dialogo. Essa gli sostiene che l’hà accontentato, ed egli lo niega ; che il loro figlio commune è in tal luogo, e che egli è il padre d’una ch’essa aveva nel grembo ; ed eli s’ostina a niegare . Ella si desola, si svelle i capelli ; i parenti corono à queste grida ; l’Amante disperata continua à lagnarsi ed ad invettivare ; verifica che il gentiluomo era assente da due anni ; si cerca il primo figlio, si trova, ed il secondo nacque à suo tempo.

- E l’amante aereo (interruppi) che faceva egli frà tanto ?

-Vedo bene (rispose egli ) che V. S. trova strano che abbia abbandonato la sua Amante al rigore de’ Parenti od al furore degl’ Inquisitori, mà aveva una ragione di duolersi d’essa. Ella non era assai devota, poiché quando questi si sono immortalati s’oppongono gravemente, e vivono santamente per non perdere il diritto che acquistano al possesso del sommo bene. Così vogliono che la persona amata, viva con un innocenza esemplare, come si vede nel celebre Caso d’un signore di Baviera. Egli era inconsolabile della morte di sua moglie, che amava con passione. Una Silfide fù consigliata dà nostri Savj di pigliare la figura umana, essa lo fece, e si presentò al giovane afflitto dicendo che Dio l’aveva risuscitata per consolarlo della sua estrema afflizione. Eglino vissero assieme molti anni, ed ebbero fanciulli bellissimi. Mà il giovane non era assai uomo da bene per ritenere la Savia Silfide. Egli giurava e diceva parole inoneste. Essa l’ammonì spesso ; mà vedendo inutili le sue ammonizioni, disparve un giorno, e non gli lasciò che le vesti, col pentimento di non aver voluto sieguire i suoi Savj Consegli. Così V. S. vede, che i Silfi ànno alle fiate ragione di sparire, e V. S. vede che il Diavolo non puol’ impedire, non più che i ghiribizzi fantastici de’ Teologi, che gli Elementarj non s’ apponghino con esito alla loro immortalità, quando sono soccorsi da’ nostri Savj.

- Ma di grazia, Signore (ripigliai) Tiene V. S. per vero che il Demonio sia tanto nemico a’ questi subornatori di zitelle ?

- Nemico mortale (diss’ egli) sovra tutto degli Ondini , Silfi e Salamandre. Poscia che per i Gnomi, non li odia tanto perché, come credo, spaventati li Gnomi dagli urli spaventevoli de’ Demoni che odono nel centro della terra, vogliono più tosto rimanere mortali, che arrischiare d’essere tormentati così, se acquistassero l’immortalità. Da ciò procede che i Gnomi ed i Demonni loro vicini ànno gran comercio, questi persuadono à Gnomi, amici naturalmente dell’uomo, essere un rendergli servizi di rilievo e liberarlo d’un gran pericolo di ubbligarlo à rinunziare la sua immortalità. S’impegnano perciò di somministrare all’uomo, à chi possono persuadere tal rinunzia, tutto il danaro che domanda, di frastornare i pericoli che potrebbero minacciare la sua vita fin’à certo tempo, od altra condizione che piace à chi fa questo patto infame ; così il Diavolo, il furbo che è, col mezo de’ Gnomi cerca di mortalare l’anima dell’uomo e sottrarla alla vita eterna.

- Come signore (esclamai) questi patti di cui riferiscono i Demonografi tanti esempj, non si fanno dunque col Diavolo.

- No certo (ripigliò egli) Il Principe del mondo non è egli stato scacciato fuori ? Non è egli chiuso ? Non è egli legato ? Non è egli la terra maledetta e dannata che è rimasto al fondo dell’opra del supremo ed Archetipo distillatore ? Puol’ egli salire nella regione di luce e spargervi le sue tenebre concentrate. Ah ! Egli non può cosa veruna contro l’uomo. Non può che ispirare à Gnomi suoi vicini di venir’ à fare tai proposizioni à quegli tra gli uomini che teme di più che siano salvati, sperando di far morire l’anima col loro corpo.

- Si che (io aggiunsi) secondo V. S. quest’ anime muorono ?

- Io non l’asserisco ; mà alcuni dicono che muorono, e così se ciò fosse, non sarebbero dannati.

- Se questo fosse (ripigliai) sarebbero dunque puniti lievemente d’aver fatto un crime, d un fallo coranto enorme, di rinunziare al Battesimo ed alla morte del Signore.

- Se ciò fosse vero (ripigliò egli) chiamerebbe V. S. esser puniti lievemente di rientrare negli abissi oscuri del niente. Io la stimerei maggior pena che d’esser dannato. E’ una grazia grande il non consumarli col fuoco che li abbrucerà. Il niente è un maggior male dell’Inferno. Questo è quanto predicano i Savj e’ Gnomi quando li ragunano per far loro capire il torto che si fanno di preferire la morte all’immortalità ed il niente alla speranza della beata eternità, che ponno possedere col mezo degli uomini senz’esigere da essi alcuna rinunzia colpevole. Alcuni ci credono e li maritiamo alla femina.

- Vangelizzano dunque loro Signori a’ popoli sotterranei ? (gli dissi)

- Certo, noi siamo i loro Dottori, come anche degli altri. E com’eglino sono più sottili che il commune degli uomini, sono più docili e più capaci di disciplina, ed odono le verità sagre con gran rispetto.

- In effetto (dissi ridendo) dev’esser bello di vedere un Cabalista sul Pergamo à predicare a’ que’ Popoli.

- Lo farò quando piacerà a V. S. (mi rispose ) e predicarò loro alla meza notte.

- Alla meza notte ! (esclamai) hò udito esser l’hora del Sabbato, sia Sinagoga, o Tregenda degli Stregoni.

Il Conte si pose à ridere.

- V. S. mi fa ricordare di tutte le pazzie che riferiscono i Demonografi sovra questa chimerica ragunanza , ò Sabbato. Vorrei bene che V. S. lo credesse altresì.

- Ah ! per le favole (ripigliai) della Sinagoga l’assicuro che non ne credo una.

- V. S : fa bene (diss’ egli) pecché il Diavolo non hà il potere di burlarsi così del genere umano, né di far patti cogli uomini, e meno ancora di farsi adorare, come si persuadono gl’inquisitori. Quanto hà dato luogo à questi rumori popolari, è che i Savj ragunano gli abitanti degli Elementi per predicar loro i misteri e la morale ; e come alle volte qualche Gnomo riviene dasl suo errore, capisce gli orrori del niente ed acconsente d ‘ esser immortalato, gli si dà moglie, le nozze si celebrano con allegrezza, e sono queste le danze ed i gridi d’allegrezza che Aristotele dice che s’udivano in certe isole dove però non si vedeva alcuno. Orfeo fù il primo che convocò questi popoli sotterranei, ed alla sua prima predica, Sabbasio il più vecchio de’ Gnomi fù immortalato, e da Sabbasio hà il nome questa ragunanza, al quale ànno i Savij diretta la parola, Finché hà vissuto, come si vede negl’inni di Orfeo. Gl’ Ignoranti ànno confuso la cosa, ed ànno pigliato luogo di fare sovra di ciò mille favole, e di infamare una ragunanza che non si convoca che à gloria del sommo essere.

- Non mi sarei mai prefisso (gli dissi) che questa fosse una ragunanza di devozione.

- Frà tanto ella è bene (replicò) e buona, e Cabalista ; il che non si crede. Ma tale è l’acciecamento del mondo. Ponno i Savj fare quanto vogliono, un Frate guadagna sovra la verità, e vien creduto più ad un capuccio che a’ propri occhi. Vi è stata in Francia una pruova notabile di questa credulità popolare. Il famoso Nedecchia Gabalista si pose in capo sotto il Regno di Pipino di convincere il mondo che gli elementi erano abitati da’ detti popoli. Il mezo che trovò fù di consigliare à Silfi di mostrarsi a tutti nell’area. Si vedevano queste creature in forma umana, ora ordinate in battaglia, andare in buon ordine, od armate, od accampate sotto superbi padiglioni ; ora su navi aeree d’una mirabile struttura la cui flotta volante veleggiava a’ grado de’ Zefiri. Il secolo ignorante non s’appose a discorrere sulla natura di tai spettacoli meravigliosi. Il popolo credé subito che fossero stregoni, apponderati dell’aere per eccitarvi tempeste, e gragnuolare la messe.

I Teologi e Giuristi furono del parere del popolo, e gl’ Imperadori lo credettero altresì, e questa chimera andò sì avanti che Carlo Magno e Luigi il Buono imposero pene gravi a’ questi supposti Tiranni dell’ aere, come si può vedere nel capitolo I° delle Capitolari di que’ due Imperadori.

Vedendo i Silfi che il Popolo, i Pedanti e le Teste Coronate erano contro essi, per far prendere la cattiva opinione della flotta loro innocente, risorsero di rapire uomini d’ogni parte, di far vedere le loro belle femine, la loro Republica, governo e pulizia, e poi riporli a terra in varj luoghi del mondo ; e così fecero. I popoli che vedevano scendere questi uomini, correvansi d’ ogni parte, e preoccupati che fossero Stregoni staccati da’ loro compagni per andar’à gettar veleno ne’ frutti e fonti, secondo il furor ispirato da tali immaginazioni, strascinavano quei innocenti al supplizio ; e ne fecero perire molti coll’acqua e col fuoco. Un giorno trà gli altri si videro à Lione scendere da queste navi aeree tre uomini ed una donna . Tutta la città si raguna, sgrida, ed esclama che sono Maghi mandati da Grimoaldo Duca di Benevento nemico di Carlo Magno, per dissipare la messe de’ Francia. Non ostante che questi quattro dichino che sono del paese, che sono stati rapiti da uomini miracolosi che ànno loro fatto vedere meraviglie inaudite, e li ànno pregati di riferirle.

Il popolo ostinato non ode le loro difese, ed andava à gettarli nel fuoco, quando Agobardo Vescovo di Leone, che aveva acquistato grand’Autorità mentr’ era frate in quella città, pronunziò dopo aver udito l’accusa del Popolo e la difesa degli Accusati, che ambedue erano false. Che tai uomini non erano scesi dall’aere, e che quanto eglino dicevano che avevano visto era impossibile.

Il popolo prestò maggior fede ad Agobardo che ai proprj occhi, s’aquetò, liberò i quattro ambasciatori de’ Silfi, e riceve’ con istupore il libro d’Agobardo fatto sovra ciò, e così la testimonianza di quattro fù resa vana.

Frà tanto, come vennero sottratti al supplizio, furono liberi di raccontare quanto avevano veduto, il, che non fù senza frutto, poiché si ricorda bene che il secolo di Carlo Magno fù pieno d’uomini Eroici, il che denota che la Donna che era stata appo i Silfi, trovò credito appo le Dame di quel tempo, e che così molti Silfi s’immortalarono. Molte Silfidi divennero altresì immortali per il racconto fatto dalli tre uomini della loro beltà, il che fece applicare gli uomini un poco alla Filososfia, e da ciò sono venute tutte le storie delle Fate, che si trovano nelle leggende amorose del ssecolo di Carlo Magno e de’ sieguenti. Tutte quelle Fate non erano che Silfidi e Ninfe, e quelle storie ponno dare idea dello Stato al quale vogliono una fiata i Savj ridurre il mondo. Que’ uomini eroici, quegli amori di Ninfe, que’ viaggi al Paradiso terrestre, que’ palazzi e boschi incantati, non è che un’idea piccola della vita de’ Savj, e di quanto farà il mondo quando vi regnerà la sapienza. Non vi si vedranno che Eroj ; i minimi dei nostri figli saranno come Zoroastre, Apollonio, Melchisedec, e la maggior parte sarebbero tanto perfetti, come i figli che Adamo avrebbe avuto d’ Eva se non avesse peccato.

- Ma piano Signore (interruppi) non mi ha V. S. detto che Adamo ed Eva non dovevano aver figli, che Adamo non doveva amare che Silfidi ed Eva che Silfi o Salamandri ?

- Egli è vero (ripigliò egli) non dovevano avere figlj per lo mezo che ne ebbero.

- La di lei Gabala (continuai) da’ qualche invenzione all’uomo ed alla Donna di far figli altrimente che col metodo ordinario ?

- Certo ( ripigliò egli)

- Eh di grazia (sieguii) Signore la supplico di dirmelo.

- Embé (rispose egli) voglio far vendetta de’ popoli Elementari con non sodisfare la sua curiosità per adesso. Fra tanto pensi lei a deliberarmi con qual spezie di sostanza di sostanze Elementarie vorrà far parte della sua immortalità ; ed io vado a studiare per far discorso questa notte a’ Gnomi.

Vorrei ben esservi, e vederne alcuni de’ più sapienti (gli dissi)

- Embé verso la meza notte la verrò a pigliare (replicò egli).

Veramente un’ora prima della meza notte mi venne à pigliare, e mi condusse in una caverna dove convocò molti Gnomi, à quali predicò con lungo discorso l’eccellenza dell’uomo affine di spegnerli à cercare l’alleanza. Spiegò quanto disse Averroe e poi Aristotele dell’intelletto e del sommo bene. Non hò mai udito un discorso più belo e sodo. Io frà tanto temevo all’affetto di costoro e tremavo, imaginandomi sempre che sotto quelle apparenze umane vi era nascosta la natura diabolica. Non lasciai però doppo il discorso di parlare col principale, il quale m’insegnò molti segreti della natura, massime chimici. Lasciai poi il Signore, e doppo non l’hò più veduto pecché io fui costretto di partire con questo Rè per Cristianestatte, ed al ritorno trovai ch’egli si era imbarcato per la Francia : Vivo in impazienza grande di sapere tutte le demenze Gabalistiche e sovra tutto il modo di aver l’impero sovra questi Elementarj , che se l’avrò può star certa, che subito la communicherò a V. E.. Fra tanto mi spiegò sovra queste bagattelle , che non ànno fatto impressione alcuna nella mia persona, pecché tutte queste cose le stimo false e tutte queste apparizioni son diaboliche ed infernali. Chi crede altrimenti è pazzo, fatuo e demente, e chi le rigetta, detesta ed abbomina sarà Santo, prudente ed uomo da bene. Così credo che farà V. E. . Non vorrei che l ‘Inquisizione mia persecutrice si formalizzasse di quanto scrivo in questa lettera che potrebbe offendere in altro modo la scrittura Sagra, quanto la puol’ offendere, mi dichiaro che il mio cuore è di abominarlo e detestarlo, facendo professione di esser suo Cristiano, col qual carattere prego Dio di farmi vivere e morire, congiuntamente con quello

D. V. E.

Da Coppenaga lì 11 Luglio 1666
Um.mo ed Ubb.mo Servitore
G. Francesco Borri